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The Tenth Line – Recensione

Nel 2017 Sungazer Software ha rilasciato un rpg mezzo platform e mezzo indie che può lasciare ben sperare: The Tenth Line. Girano voci sul fatto che sia stato creato e sviluppato da una sola persona, non so se siano confermate o meno, ma posso assicurarvi che nonostante l'impegno e la dedizione del suddetto Elliott Mahan, al giorno d'oggi è difficile accettare carenze e pecche che lasciano l'amaro in bocca.



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La principessa sacrificale



La storia comincia con la fuga di una ragazza che si rivelerà essere la principessa del regno di Easania, rapita la notte precedente da alcuni sacerdoti e scampata al sacrificio che avrebbero compiuto tramite misteriosi e sconosciuti rituali. Proprio all'inizio del viaggio, la principessa incontra la volpe Rik che parla quasi in slang (un po' difficile da capire per chi non è esperto in inglese) e un drago gentile di nome Tox. Senza nemmeno presentarsi, comincia a dare ordini ai due viandanti che, dopo una battaglia e dopo aver scoperto la sua identità, decidono di aiutarla a tornare nel suo regno e salvarlo in cambio di una lauta ricompensa. Si imbarcheranno, quindi, in questa avventura e il giocatore verrà catapultato in un'ambientazione fantasy, tra uomini e beastfolk, e un pizzico di nostalgia anni '90 che male non fa.



Un gameplay quasi indicibile



La trama di questo gioco è piuttosto accettabile ed è un vero peccato che questo titolo si perda in un bicchier d'acqua quando si entra nel fulcro dei combattimenti. L'unico aspetto positivo che si può riuscire a trovare, oltre alla scorrevole giocabilità con il DualShock 4 per chi gioca da PlayStation 4, è la particolare scelta della difficoltà proprio a inizio gioco. I livelli di difficoltà sono tre e si parte proprio da “Give me the full challenge!” ideato per i giocatori esperti, si prosegue con “I want a lighter experience” per coloro che vogliono affrontare l'avventura in maniera più leggera e infine “I just want to see the story” per i più pigri o per coloro che vogliono godersi soltanto la storia.



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Soltanto, però, chi sceglie l'esperienza di gioco completa (e quindi la difficoltà massima) avrà diritto a ulteriori sfide e contenuti extra alla fine del titolo. Un'idea carina riservata a chi vuole misurarsi con sfide più difficili. Non male la possibilità di allenare i propri personaggi attraverso collezionabili che possono aumentare l'attacco e i punti esperienza.



I lati negativi, invece, sono molteplici. In un GdR in cui le meccaniche di combattimento sono simili ad alcuni capitoli della saga di Final Fantasy, le battaglie risultano ripetitive e finiscono per annoiare il giocatore: i nemici arrivano anche a frotte di dieci per poi richiamare rinforzi tali e quali a coloro che sono stati precedentemente sconfitti. Tutti i personaggi hanno la possibilità di difendersi, ma di contro è possibile farlo una sola volta per turno e senza avere la possibilità di scegliere quale colpo parare. Inoltre, se uno dei nemici muore prima di subire l'attacco, questo va a vuoto. Altro aspetto negativo è il fatto di poter giocare con tutti e tre i personaggi a disposizione (ognuno con un'abilità diversa) e “costringere” il giocatore a tornare indietro poiché gli altri due personaggi restano fermi come stoccafissi surgelati e hanno bisogno di essere selezionati per avanzare (insomma, non seguono il player in maniera automatica rallentando di molto il gioco). Inventario inesistente come gli oggetti curativi, quasi ingestibile il personaggio di Tox: un concentrato di poteri differenti che bisogna ricordare e controllare. Equipaggiamento automatico, come le armi e le armature. Un grande NO.



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17 novembre 2019 alle 17:10

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