15 anni di Resident Evil 4 - articolo
"Morire è vivere". Questo il mantra recitato dai grotteschi zeloti del Pueblo, quel villaggio spagnolo ombreggiato dall'imponente fortezza dei Salazar - teatro delle vicende di Resident Evil 4. Col senno di poi sembra quasi una promessa, da parte di Capcom: come a dire che è morto il vecchio Resident Evil, ma il cambiamento darà nuova linfa alla saga. Per la prima volta la saga si affida a una nuova tipologia di infezione, abbandonando gli ormai confortevoli zombie, le indefinite masse pustolose del virus G, il gigantismo di bestie, insetti e Tyrant. Anche se a cambiare è soprattutto il gameplay: Outbreak 2 è l'ultimo titolo dal sapore classico.
Tutto in linea col tema della trasformazione e degradazione del corpo marcescente, non-morto, che è uno dei segni distintivi del body horror: perché le Plagas spezzano colli e sconquassano le carni. Quando uscì Biohazard 4 (per dirla alla giapponese), esattamente quindici anni fa, prima su Nintendo GameCube e poi su Playstation 2, l'urto fu infatti tale da spezzare e sconvolgere il pubblico di riferimento. C'era una voragine, insomma: la mente diceva che la novità era sbagliata, il corpo - visceralmente - riconosceva di trovarsi di fronte a un ottimo gioco.
Gli amanti della visuale dinamica e degli sfondi pre-renderizzati trovarono infatti un horror decisamente orientato all'action, con QTE e orde da affrontare con prontezza e rapidità, in cui importanti diventavano mira e sangue freddo. Così come avveniva negli spin-off RE: Survivor e RE: Dead Aim, l'elemento survival passa in secondo piano. Scompaiono quasi del tutto i puzzle, e diventa necessario focalizzarsi sugli avversari. Inutile negare che per molti fu una morte definitiva, una colpa da scontare ancora remake dopo remake. Ma non a caso RE4 è oggi considerato uno dei giochi più importanti del ventennio.
