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Mortal Kombat 11: Aftermath - recensione

Durante un'intervista con Geoff Keighley tenutasi pochi giorni fa, il creatore di Mortal Kombat Ed Boon si è lasciato sfuggire qualche dettaglio sul futuro di NetherRealm. Queste sono state le sue parole: "Mortal Kombat è ormai la nostra bandiera, un vero e proprio sinonimo dello studio, e anche Injustice ha avuto successo; ma abbiamo altre cose in cantiere".



La fantasia degli appassionati ha iniziato a galoppare: che sia l'alba di un nuovo crossover supereroistico? E se invece si trattasse di qualcosa di diverso dal solito picchiaduro, magari di un videogioco incentrato sulla narrativa o dell'esplorazione di un nuovo genere? La verità è che non ne saremmo affatto stupiti, perché l'espansione Mortal Kombat 11 Aftermath conferma il trend inaugurato dalla saga di NetherRealm: la sua campagna in single player è di gran lunga la migliore mai incontrata nell'universo dei fighting games.



Il mosaico narrativo che raffigura le vicende di Liu Kang, di Raiden e di tutti i campioni dei regni è un piccolo gioiello artistico in cui ciascuna tessera accarezza l'eccellenza. C'è un comparto grafico da next-gen, con animazioni curate al millimetro ed espressioni facciali degne di Hollywood; ci sono coreografie che non sfigurerebbero in un film di Tony Jaa o in un qualsiasi blockbuster d'azione; c'è una sceneggiatura che mescola umorismo e acume, un cocktail esplosivo fra lo stile di Pirates of the Caribbean e le velleità da shaolin-movie.



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28 maggio 2020 alle 17:10

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