Song of Horror - recensione
La paura è una delle emozioni primarie di qualunque essere senziente, legata a doppio filo all'innato istinto di sopravvivenza insito in ciascuno di noi. Non è sorprendente, quindi, che l'uomo abbia cercato di analizzarne varie forme nel corso del tempo, traducendo i risultati nelle più disparate forme d'arte. Anche il mondo dei videogiochi ha spesso tentato di esplorare le paure più ancestrali del genere umano partorendo titoli di spessore che ancora oggi vengono ricordati come veri e propri pilastri dell'horror.
C'è il leggendario Resident Evil di Capcom che mette in scena un orrore più fisico e diretto esplorando le possibili conseguenze di una pandemia virale oppure l'eccellente Silent Hill di Konami che, in modo diametralmente opposto, propone un'interpretazione più psicologica del genere, trattando i temi della paranoia, dei sensi di colpa e del tormento interiore dell'uomo.
Tra queste due anime così diverse, ad ogni modo, esistono infinite sfumature che contribuiscono ad alimentare quello che, attualmente, è uno dei mercati più prolifici ed apprezzati dal grande pubblico.
