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Destroy All Humans! - recensione

Era uno dei personaggi sul cui ritorno non avremmo scommesso un Bitcoin bucato e invece eccolo di nuovo qui, Cryptosporidium 137, per gli amici Crypto. È il centotrentasettesimo clone della sua specie e ha un compito apparentemente semplice: scendere sul pianeta Terra (degli anni '50) per collezionare DNA di Furon, la sua razza, contenuto nei cervelli degli umani in seguito ad un incontro interstellare avvenuto migliaia di anni prima.



L'operazione a dire la verità non è del tutto indolore in quanto richiede l'estirpazione del tronco encefalico e la successiva, ehm... morte del soggetto. È prevedibile quindi incontrare un po' di resistenza dagli abitanti del luogo.



Fortunatamente Crypto ha dalla sua una tecnologia enormemente più avanzata di quella terrestre, che attinge dall'immaginario dei film sci-fi di metà secolo scorso, da cui Destroy All Humans! attinge a piene mani. Se avete visto il divertente Mars Attacks di Tim Burton sapere già cosa aspettarvi: pistole a raggi che smolecolarizzano i bersagli, raggi viola in grado di sollevare anche una grossa mucca, lettura del pensiero e ovviamente un gran bel disco volante rotondo dotato di tutti i comfort, raggio della morte compreso.



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27 luglio 2020 alle 17:10

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