Hades - recensione
Supergiant Games è riuscita a costruirsi una fama di tutto rispetto nel mondo videoludico, confezionando uno dopo l'altro dei videogiochi capaci di farsi apprezzare sia per la qualità della narrazione che per un gameplay magnetico. Proprio per questo le aspettative su Hades, l'ultimo titolo ad opera degli sviluppatori americani, sono state altissime fin dall'arrivo del gioco in accesso anticipato, prima ancora che venisse costantemente supportato con una miriade di update che da allora hanno migliorato significativamente l'esperienza.
Oltretutto, Hades è il frutto di una decennale carriera dalla quale sono emerse produzioni del calibro di Pyre, Bastion e Transistor, tre titoli che hanno permesso agli sviluppatori di imparare dai loro errori per realizzare un videogioco diverso, ma che ereditasse tutto quel che di buono c'era in quelle opere. Il genere su cui si affaccia Hades è di fatto una novità per Supergiant, che esplora una strada diversa con un dungeon crawler roguelike sapientemente mascherato da roguelite. Nonostante questo, il titolo incarna in tutto e per tutto lo spirito e l'anima dello studio californiano, conducendoci in un'avventura davvero singolare in compagnia delle più potenti e celebri divinità greche.
La mitologia ellenica narra la storia di Crono e Rea, genitori di Zeus, Poseidone e Ade, e di come un padre "affettuoso" arrivò a divorare la propria stessa progenie per paura che essa potesse superarlo in grandezza. Con la nascita di Zeus, Rea ingannò Crono, scambiando il pargolo con una pietra, salvandolo da una morte certa e facendo sì che salvasse gli altri fratelli. Proprio queste terribili vicende, alla base di tantissime leggende greche, resero Ade un giovane introspettivo e poco avvezzo ai lussi dell'Olimpo, spingendolo a confinarsi nel regno dei morti per regnare sugli inferi. Ed è proprio qui che ha inizio la nostra avventura.
