Crash Bandicoot 4: It's About Time - recensione
Mettiamo subito un punto in chiaro: trovarci qui, nel 2020, a parlare di questo gioco è qualcosa di assolutamente incredibile anche per noi. Per chiunque abbia vissuto l'epoca della prima PlayStation, quello di cui stiamo per parlare rappresenta l'equivalente videoludico del Santo Graal, un gioco desiderato, richiesto, bramato, ma che si è fatto attendere per quasi 22 anni.
Ora possiamo dirlo senza celare un pizzico di commozione: dopo oltre due decenni, e una sequela infinita di spin-off e remake, Crash Bandicoot è pronto a tornare con un quarto capitolo numerato, seguito diretto di quel Warped che aveva segnato l'allontanamento di Naughty Dog dalla sua creatura prediletta in cerca di nuovi stimoli e prospettive. Per chi non lo sapesse, infatti, il marsupiale più famoso dei videogiochi è stato partorito dalle brillanti menti di quella stessa software house che oggi è salita agli onori della cronaca per titoli del calibro di Uncharted e The Last of Us ma che, già all'epoca, avevano dimostrato una certa maestria nella creazione di un'IP solida, interessante e soprattutto divertentissima da giocare.
Nel corso delle generazioni successive abbiamo assistito all'arrivo di diversi altri titoli dedicati al peramele ideato da Jason Rubin e soci, come ad esempio L'Ira di Cortex, TwinSanity o Crash of the Titans, ma nessuno di essi è riuscito a replicare il successo planetario della trilogia originale, vuoi per meccaniche di gameplay mal implementate, vuoi per un design dei personaggi a dir poco scellerato che ha decretato il declino del brand.
