Valorant Atto III - prova
Valorant è stato un gioco un po' sfortunato. Sfortunato perché l'ispirazione creativa che ha guidato i pennelli degli artisti di Riot Games partiva dall'ambiziosa idea di scalare i palazzetti dell'Esport, mettendo in piedi una formula capace sì di rivaleggiare con le sparatorie tattiche di Counter-Strike, ma anche e soprattutto di strutturarsi nel settore competitivo seguendo lo tsunami scatenato da League of Legends.
Ormai i campionati professionistici dedicati a LoL sono di gran lunga i più seguiti in assoluto nell'universo virtuale, e proprio in questi giorni stanno infiammando i palchi di Shanghai con le finali del mondiale, un appuntamento che anno dopo anno continua a ridimensionare le metriche d'ascolto del Super Bowl.
Probabilmente, in un mondo senza Covid-19, i primi tornei di Valorant starebbero riempiendo i centri nevralgici dell'Esport, raccogliendo valanghe di appassionati di fronte agli schermi e mettendo a frutto le decine di pro-players sottratti ad altre discipline. Ma in questo mondo, lo sparatutto free-to-play di Riot si è “limitato” a dominare come nessuno prima le classifiche di Twitch, raccogliendo milioni e milioni di download, per poi frenare lungo le prime curve.
