Cyberpunk 2077 e l'industry dell'impazienza - articolo
Nel 2012, CD Projekt RED compra i diritti di Cyberpunk 2020: il pen & paper che ha consacrato gli spavaldi netrunner nell'immaginario dei giocatori di ruolo, donando una dimensione ludica alla letteratura di Gibson e Sterling. Al tempo nessuno poteva supporre che quest'acquisizione, nelle mani dello studio che pochi anni dopo pubblicherà The Witcher 3, si sarebbe caricata di aspettative così gravose. Cyberpunk 2077, agli occhi dei videogiocatori, è la promessa di una dimensione virtuale enorme, fatta di libertà, immedesimazione, varietà, scelte. Non solo un videogioco Cyberpunk: un vero e proprio mondo d'evasione.
Ma le promesse si sono scontrate con il 2020, quello reale questa volta. Una realtà che nulla ha da invidiare ai complotti mega-corporativi di un Deus Ex, o ai virus informatici che plagiano gli innesti cibernetici di un umano potenziato. Cyberpunk 2077 slitta dal 16 aprile 2020 al 17 settembre. Poi al 19 novembre, con la promessa di essere entrati in fase Gold, e adesso al 10 dicembre. Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera. O così diceva un film del regista coreano Kim-Ki-Duk. Le ragioni? Come vedremo, dapprima la necessità di stare al passo con le aspettative del pubblico, in seguito l'ottimizzazione cross-gen e (tutt'intorno) le complicazioni causate dal Covid.
La notizia non è stata accolta bene, e il lead designer Andrzej Zawadzki cerca di frenare, con un tweet, le minacce di morte ricevute. Non avessimo già assistito a casi del genere (The Last of Us tra i recenti), le crederemmo un'esagerazione. È paradossale come la certezza di aver a che fare con un team di qualità, e vicino ai giocatori, acuisca questi fenomeni. A dar voce alle critiche non solo chi ha legittimamente preordinato, ma una coda di potenziali acquirenti (che dunque non hanno ancora sovvenzionato in alcun modo lo sviluppo).
