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DiRT 5 - recensione

Il mondo dei racing sta attraversando un momento particolare, confuso, alla ricerca di una formula convincente. In quest'ultimo periodo abbiamo visto saghe mutare la propria natura per cercare di abbracciare un pubblico più ampio e videogiochi che, invece, hanno puntato sull'innovazione, introducendo molte novità nel tentativo di meravigliare e stupire. Il dilemma che si trovano ad affrontare tutti gli sviluppatori di titoli a due e quattro ruote ritorna incessante ad ogni produzione: qual è la formula vincente per renderlo appetibile?



Le risposte sono molteplici ma non vi è una verità assoluta in nessuna di esse. Playground Games ha trovato un'identità con Forza Horizon puntando su un parco auto ricchissimo e uno scenario open world, la saga di WRC ha beneficiato dell'idea di Kylotonn di ampliare la modalità carriera rendendola più ruolistica, mentre Project CARS 3 ha deciso di rispondere alla domanda ammorbidendo la rigida struttura su cui era costruito.



Codemasters sicuramente si è spesso posta tale quesito, dato il suo quasi assoluto monopolio in termini di titoli su licenza e proprietà intellettuali su quatto ruote. Ormai ferma dal 2017, per la saga di DiRT era arrivato il momento di tornare alla ribalta con un nuovo capitolo principale. Come la software house britannica ha risposto alla domanda iniziale, decidendo le sorti di DiRT 5, lo scoprirete proseguendo nella lettura di questa recensione.



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2 novembre 2020 alle 14:11