Assassin's Creed Valhalla - recensione
Negli anni il processo evolutivo della serie Assassin's Creed è stato lento e laborioso. Soprattutto, non è stato omogeneo. Alcuni capitoli hanno offerto miglioramenti modesti alle meccaniche precedenti, altri invece hanno introdotto veri e propri strappi col passato.
A sindacabile giudizio di chi scrive, le accelerazioni più vistose le abbiamo viste in Assassin's Creed IV: Black Flag e in Assassin's Creed: Origins, che un comune denominatore ce l'hanno, ossia il director Ashraf Ismail. Ed è quindi con una certa trepidazione che abbiamo seguito il lancio di questo nuovo capitolo, Valhalla, perché mentre in precedenza il 'regista' aveva condiviso la sedia con altre persone (Jean Guesdon e Damien Kieken in Black Flag, e Jean Guesdon in Origins), stavolta l'ultimo capitolo della serie lo vedeva come l'unico director.
Usiamo il passato, e non il presente, perché Ashraf Ismail è rimasto coinvolto nei mesi scorsi nell'ennesimo scandalo legato al #meetoo che, soprattutto al di là dell'Atlantico, è un tema particolarmente sentito in questa era di neopuritanesimo. E così, a fronte di accadimenti che qui in Italia avrebbero comportato un'alzata di spalle (è stato accusato dalla sua ex amante di aver avuto con lei una relazione extraconiugale senza dirle che era sposato), Ubisoft ha pensato di relegare l'ennesima persona nel girone della "cancel culture". Col risultato che ora a presentare alla stampa questo ultimo episodio non è chi l'ha condotto praticamente in porto, ma il producer Julien Laferrière.
