Call of the Sea - recensione
Bolle a profusione davanti agli occhi, pesciolini colorati che nuotano spensierati sul fondale più cristallino con la barriera corallina che spicca meravigliosa alla nostra sinistra e noi, come se niente fosse, nuotiamo leggiadre respirando a pieni polmoni. Come se ci trovassimo a casa, come se fosse tutto perfetto, ogni ingranaggio incastrato alla perfezione nel più riuscito dei meccanismi. Un meccanismo sì, ma non quello della natura, non quello delle "cose esattamente come dovrebbero essere" ma quello decisamente più subdolo e destinato a incepparsi con i primi raggi dell'alba che senza pietà lo intralciano e impietosamente lo bloccano una volta per tutte.
È un nuovo giorno per noi, è un nuovo giorno per Norah. Il meccanismo del sogno è destinato a lasciar spazio alla decisamente meno perfetta vita di tutti i giorni e a un viaggio verso una meta sconosciuta alla ricerca dell'amato Harry. È un uomo pronto a tutto per la propria dolce metà lo stimato e colto Harry Everhart e la ricerca di una risposta fondamentale proprio per la nostra protagonista lo spingerà fino a terre lontane e inesplorate. Poi, il silenzio.
Nessuna notizia per giorni, settimane, mesi e alla fine la decisione di partire e di seguire le poche briciole sparpagliate per l'oceano dall'ormai perduta "Spedizione Everhart". Norah non è una donna perfetta ma il coraggio non le manca e la speranza che il suo Harry possa essere ancora vivo è troppo forte per essere ignorata. Mentre la scialuppa si avvicina alla spiaggia di una misteriosa isola che intimorisce anche il più coraggioso dei guerrieri delle popolazioni indigene la speranza incrocia lo sbigottimento e abbraccia il surreale: "Quel simbolo gigantesco che sembra inciso sul fianco della montagna. Quel simbolo io l'ho già visto..."
