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Guilty Gear Strive - recensione

L'arte del combattimento può essere interpretata come metafora della vita stessa: spesso basta un solo colpo ben assestato per portare a casa la vittoria ed essere illuminati dalle luci della ribalta. Ed è un po' quello che è successo negli ultimi tempi ad Arc System Works, lo studio di sviluppo nipponico che, in oltre trent'anni di carriera, si è specializzato nella creazione fighting game profondi, calibrati al millimetro, ideati per un pubblico estremamente esigente e competitivo.



La strenua volontà di perseguire il tecnicismo più sopraffino, tuttavia, ha inevitabilmente innalzato una ripida barriera di ingresso nelle loro opere relegandole ad una ristretta nicchia di appassionati dotati del tempo, dell'abilità e della voglia necessari per padroneggiare sistemi di lotta così tanto complessi. E poi, all'improvviso, arriva quel colpo decisivo di cui vi parlavamo in apertura, un titolo capace di attirare i riflettori di un pubblico decisamente più ampio grazie anche all'innegabile potenza del marchio stampato in copertina: Dragon Ball FighterZ.



A differenza di tutte le incarnazioni passate delle avventure di Goku e compagni, FighterZ si presentava come un picchiaduro a incontri piuttosto tecnico e stratificato seppur dotato di una serie di automatismi che lo rendevano parecchio più accessibile rispetto alla media delle produzioni di Arc System Works ma comunque incredibilmente difficile da padroneggiare ai livelli più alti.



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8 giugno 2021 alle 10:10