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Scarlet Nexus - recensione

Quando il mondo dei videogiochi incontra il sottobosco dell'animazione giapponese si genera un'imprevedibile reazione chimica che rischia di dar vita a dozzine di conseguenze inaspettate. Certo, il connubio potrebbe esplodere in opere a dir poco leggendarie come la visual novel Steins;Gate, ma è decisamente più facile che riduca entrambe le sue nature ai minimi termini, finendo per penalizzare tanto il gameplay quanto l'ambizione creativa.



Ciò è ancor più vero quando l'ispirazione è quella del battle shōnen, e Bandai Namco Studios, che è reduce dal mezzo successo di Code Vein e dalla serie God Eater, questo lo sa meglio di chiunque altro. Così, per il suo Scarlet Nexus, Kenji Anabuki della serie "Tales of" ha radunato un team di "Avengers" con un solo obiettivo in mente: quello di costruire un universo e un intreccio narrativo che fossero in grado di brillare a prescindere dal medium di riferimento, fosse esso un video game o una classica serie animata.



"Brainpunk": è così che gli stessi producer hanno definito la natura dell'opera. Nel mondo di Scarlet Nexus il 99% della popolazione nasce con quel minimo di facoltà psioniche che sono necessarie per sfruttare Psynet, un'immensa rete cerebrale che governa ogni aspetto della quotidianità, dall'informazione alle telecomunicazioni fino addirittura alla censura visiva. Ma per quanto un mondo percepito unicamente attraverso innesti neurali possa già di per sé apparire distopico, la nazione di New Himuka conosce il proprio dramma attraverso una tremenda guerra che sembra non conoscere fine.



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23 giugno 2021 alle 16:11