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Blightbound – Recensione

Di nuovo lo zampino di Devolver Digital: un publisher divenuto ormai una garanzia nell'ambito indie come sottolinea anche il recente Death's Door. Al punto che, ormai, leggere il loro logo fa partire immediatamente il paragone qualitativo con un tripla A. Blightbound è una delle loro ultime pubblicazioni, un RPG misto a dungeon crawler funzionante in teoria, un po' meno in pratica. Poteva essere un grande esperimento, ma la nostra esperienza con il titolo è stata tutto meno che esaltante.



A tale of kings and queens



Le terre del mondo di Blightbound sono infestate dal male; dominate da orde di demoni, diavoli e mostri intenti a spazzare via quel poco che resta del genere umano. Nei panni di un eroe, l'incipit – così come il resto della storia – ci impone di lanciare incantesimi, sguainare le spade e i pugnali per farci strada tra i livelli proposti.



Una gruppetto di eroi sono riusciti a sventare l'assalto di un malvagio Titano che minacciava il regno, tenendo l'umanità sul palmo della mano. Ma morto il mostro se ne fa un altro: ben presto, dal corpo esanime del Titano fuoriesce una minacciosa nebbia, che ricopre il regno di caos, morte e distruzione. Tre eroi sfuggono al maleficio e avranno l'arduo compito di salvare il mondo intero. Incipit banale, poco originale e che, di fatto, riflette un po' la qualità generale della produzione.



Eat, sleep, conquer, repeat



Quello che a primo impatto pare essere un gameplay solido e ben strutturato, si rivela essere il tasto più dolente di tutto Blightbound. Essenzialmente, percorrendo una mappa in 2D a scorrimento orizzontale, alcune volte anche diramate in più punti verticali, controlleremo uno degli eroi di nostra scelta e stermineremo tutte le creature dello stage. Ora ripetete fino alla fine del gioco. Anche se Blightbound offre la bellezza di venti personaggi giocabili, tutti divisi tra le categorie Guerriero, Mago e Assassino, la verità è che di carne al fuoco non ce n'è poi così tanta. Il sistema di gioco è indubbiamente coraggioso, ma mal bilanciato alle difficoltà più alte.



Per evitarci il classico button mashing, ogni azione, compresa la schivata, è soggetta a un cooldown di svariati secondi. Magari per aggiungere un pizzico di difficoltà in più nelle situazioni spinose, o magari per consentire ai giocatori di prendersela comoda e lasciargli “leggere la stanza”, eppure il gameplay di Blightbound ci è sembrato fin troppo lento da digerire. E nonostante ciò, nelle aree più popolate di mostri, rimane comunque impossibile restare concentrati e fare una scelta; il casino su schermo ci oscurerà la vista e, il più delle volte, ci farà ritrovare K.O. manco stessimo affrontando Akuma in Street Fighter.



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La luce in fondo al tunnel è spenta



L'esperienza vissuta con Blightbound ci ha fatto sperare fino all'ultimo di trovare una certa varietà di contenuti, che però abbiamo trovato solo nell'esplorazione degli ambienti, costruiti con intelligenza. Non come quella dell'IA però, altalenante e disarmante: una volta accerchia e incastra, l'altra se ne sta per le sue come se nulla fosse. Vien da sé la “digeribilità” maggiore del gioco se giocato in compagnia, approccio che vi esortiamo a prendere con il gioco qualora foste interessati. E' teoricamente anche possibile giocare online con gli sconosciuti grazie al matchmaking, ma alla stesura di questa recensione quasi si aspetta solo lo spegnimento dei server tanto che sono deserti.



Di Blightbound avremmo apprezzato un modello leggermente più fast-paced, non certo sulla scia di un Devil May Cry, ma neppure lento e noioso come ce lo siamo ritrovato. Premiamo invece la colonna sonora, buona in-game e con tonalità che si adattano al tema dark dei dungeon, e soprattutto il comparto visivo. Lo stile artistico del gioco forse è la sua componente più riuscita, tralasciando le animazioni un po' statiche. Un intelligente level design fa sfondo ad ambienti dai colori e dalle forme minacciose e perfette per l'impostazione della trama dark-fantasy.



Trofeisticamente parlando: questo è chiedere troppo



Si può notare già nelle percentuali di ottenimento dei trofei sul PlayStation Network che c'è un rapidissimo declino di coppe ottenute dal tutorial in poi. Questo perché l'elenco trofei chiede di completare obiettivi non troppo assurdi, ma decisamente lunghi da vincere. Sono un esempio l'abilità speciale di Kujuk da attivare settecentocinquanta volte, completare venti dungeon giocando come personaggi specifici, recuperare cinquecentomila HP con l'incantesimo lifesteal di Triss e tanto, tanto ancora. Un'avventura magari da intraprendere con un amico (c'è anche un trofeo legato a questo, a tal proposito), ma in solitaria è da perderci la testa.




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17 febbraio 2022 alle 17:00

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