White Day: A Labyrinth Named School – Recensione
Gli armadietti stretti l'uno accanto all'altro, i corridoi freddi e grigi, le lezioni infinite. La scuola è o e stata per molti una sorta d'incubo. Portato all'estremo, con un tocco di fantasy oscuro, questo brutto sogno somiglierà a White Day: A Labyrinth Named School. La spaventosa avventura ha attraversato i tempi per giungere fino ai giocatori odierni. PQube e Sonnori si sono messi in cattedra per dare una seconda occasione al ripetente in questione dopo cinque anni di assenza dall'era PlayStation 4. Con la versione PlayStation 5, il ritorno in aula non sarà mai stato così terrificante.
Non aprite a quel bidello
A dire il vero, la prima campanella per il gioco del team sudcoreano è scattata nel lontano 2001 su PC, risuonando poi nel 2009 su smartphone e nel 2015 con un remake. È nel 2017 che PQube decise di produrre un'edizione per la precedente console di Sony e oggi una per l'attuale ammiraglia. Passano gli anni, ma non le intenzioni di Hee-min Lee. La giovane matricola è invaghita per una ragazza fredda e distaccata nei suoi confronti, tanto da concedergli appena un veloce saluto di tanto in tanto. So-Young Han – questo il nome della studentessa – dimentica però il suo diario su una panchina dopo un rapido scambio di sguardi tra i due. Il protagonista decide allora di prenderlo e pensa di ridarglielo assieme a un regalo per il White Day. Questa è infatti un'usanza giapponese (e di rimando anche coreana) durante la quale un ragazzo offre dei doni a una ragazza per cui prova dei sentimenti profondi.
Il piano è apparentemente semplice: raggiungere l'amata nell'ala dell'edificio dove studia e dichiararsi. Un progetto tanto limpido quanto destinato a fallire. Entrato nel ramo femminile della scuola a tarda notte, Lee si renderà presto conto del suo gesto affrettato, trovandosi ingabbiato in un luogo tutt'altro che formativo. Le tante scelte da compiere nel corso dell'avventura costituiscono un punto positivo a favore della longevità (non oltre 10 ore circa) e di una buona stratificazione della trama altrimenti poco originale. Anche chi non gradisce il gusto per gli horror potrebbe tentare di vestire i panni di Lee, essendo l'ambientazione e in generale tutto White Day: A Labyrinth Named School lungi per esempio dai connotati dei mostri di SOMA.
Preda o risolutore
Essendo un survival horror incentrato sulla risoluzione di enigmi, il gameplay del titolo asiatico riesce a reggere abbastanza degnamente il peso dei suoi ventuno anni. Da una prospettiva in prima persona, il giocatore è chiamato a esplorare ogni anfratto della spaventosa scuola.Si dovranno raccogliere documenti da leggere e oggetti vari, oltre a superare una serie di puzzle di difficoltà crescente. Anche se ripetitivi nella struttura, questi potranno alle volte impensierire anche i più navigati del genere.
Gli autori hanno inserito una degna interazione ambientale, specie per una produzione del 2001, con delle trame secondarie da portare alla luce. Il nostro studente non ha armi a sua disposizione, pertanto è costretto a fuggire dai bidelli che infestano l'ambientazione. Lo stesso accendino, unico strumento in dotazione, potrebbe rappresentare ora un'ancora di salvezza alle tenebre totali, ora un'esca perfetta per attirare gli avversari. Rimasti probabilmente a un ventennio fa, i nemici non godono però di un'intelligenza artificiale adattata al mercato odierno. Risulta infatti possibile bloccarli in vari modi, come ad esempio interagendo con un quadro elettrico nella zona.

Intervallo spaventoso
White Day: A Labyrinth Named School riesce a passare senza debiti il vaglio tecnico su PlayStation 5. La versione rifinita da Sonnori gode infatti di una buona pulizia grafica, per quanto i modelli poligonali e certe animazioni siano arretrati, e di una buona stabilità generale. Certo, alle volte i bidelli sembrano tramutarsi in fantasmi capaci di attraversare le porte e colpire il protagonista, ma è una pecca della quale si può redigere una nota sul registro e passare avanti.
A fronte di scenari anonimi e spogli, il lato estetico del gioco risulta piacevole pur considerando i suoi anni sulle spalle. Il vero fiore all'occhiello è il comparto sonoro. Tra rumori cigolanti ed effetti inquietanti alternati a dei silenzi carichi di tensione, riesce a sollevare il fattore horror del titolo. Insomma, se i volti dei bidelli impazziti in sé non dovessero fare drizzare i capelli dalla paura, a sorreggere l'appartenenza alle esperienze horror del gioco sono proprio i suoni ambientali.
Trofeisticamente parlando: chi non muore fa il ripetente
Ottenere tutti i trofei di White Day: A Labyrinth Named School, come potete leggere sul forum PlayStationBit, potrebbe somigliare a una lezione infinita con tanto di rientro pomeridiano. Tolti gli obiettivi legati alla storia, il gioco chiede di essere completato nei quattro livelli di difficoltà e di essere scrupolosi con l'esplorazione. Solo così i cacciatori potranno ottenere i 3 trofei d'oro, i 10 d'argento e i 29 di bronzo per arrivare al tanto sudato Platino.
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