Captain Blood – Recensione
Captain Blood rientra in quella categoria di titoli che sembravano perduti per sempre. Nato nei primi anni 2000 sotto la guida dello studio Akella, ispirato ai romanzi di Rafael Sabatini, il progetto ha attraversato decenni di limbo, interruzioni e versioni mai pubblicate. A riportarlo in vita nel 2025 è stata SNEG, che insieme a General Arcade ha deciso di completare e pubblicare il titolo su tutte le piattaforme moderne. Un'operazione tanto coraggiosa quanto rischiosa, soprattutto perché si è scelto di mantenere intatto lo spirito retrò del gioco originale.
Sangue, spade e solcare i mari
In questo gioco vestiremo i panni del Capitano Blood, un corsaro senza scrupoli che fa scorribande nel caos del Mar dei Caraibi del 1685. Non c'è una narrativa stratificata o colpi di scena memorabili: la trama è un pretesto per condurci in una lunga scia di sangue, vendetta, oro e conquista. I dialoghi sono minimali, i personaggi poco caratterizzati, ma il tutto funziona in ottica di un film parodia piratesco.
Il gioco sembra abbracciare con orgoglio la sua identità kitsch, tra accenti marcati, frasi a effetto e una messa in scena che ricorda i lungometraggi d'avventura di una volta. Non c'è profondità, ma c'è stile. Certo uno stile che deve essere apprezzato da palati fini e deve stuzzicare il lato trash che ogni lupo di mare cova dentro di se, magari sepolto da qualche litro di grog e sonori “arrrgh”.
Sconfiggere i nemici non solo con la spada
Il fulcro di Captain Blood è il combattimento corpo a corpo, un sistema che strizza l'occhio ai vecchi action hack and slash come God of War. Affrontremo quindi ondate di nemici usando combo leggere, attacchi pesanti, schivate e soprattutto una valanga di QTE (quick time event) che, se eseguiti correttamente, attivano spettacolari e truculenti colpi di grazia. Inframezzeremo anche qualche sparo e l'utilizzo della nostra stamina per aumentare i danni inflitti. Il ritmo è incalzante, ma la varietà scarseggia. Schivate e parate saranno difficili da effettuare ma quelle poche volte che riusciranno daranno una certa soddisfazione.
I nemici tendono a comportarsi allo stesso modo, e anche le boss fight risultano spesso un insieme di pattern ripetitivi. La mancanza di finezza nei comandi e un certo ritardo nel feedback degli attacchi danno al tutto una sensazione di legnosità difficile da ignorare. Tuttavia, chi è cresciuto con giochi come Conan, Spartan: Total Warrior o il primo God of War potrebbe ritrovare qui un fascino perduto.

Solchiamo i mari in cerca di tesori
Non tutto si svolge a terra. Alcune sezioni prevedono il controllo di navi pirata, con combattimenti navali in cui possiamo cannoneggiare vascelli nemici o prepararci all'arrembaggio. Anche in questo caso, la semplicità regna sovrana: poche meccaniche, qualche upgrade e molto rumore di fondo. Queste fasi aiutano a spezzare il ritmo, ma non introducono una reale profondità.
C'è anche una leggera progressione del personaggio, legata alla raccolta di oro e bottino. Possiamo migliorare le armi, sbloccare nuove mosse e aumentare la nostra resistenza, ma senza mai toccare vette da gioco di ruolo. Il tutto si limita a una struttura arcade, dove ogni livello è un'arena e ogni potenziamento serve a fare a pezzi i nemici con maggiore efficienza. Il livello di difficoltà non è certo all'altezza di un Dark Souls ma in alcuni frangenti potrebbe impegnarci e richiedere una certa attenzione da parte nostra.

La nostalgia del passato è una canaglia
Captain Blood non nasconde il suo cuore retrò, anzi lo ostenta. Graficamente, il gioco sembra provenire direttamente da una build PlayStation 3 del 2007: texture piatte, modelli poco dettagliati, animazioni rigide. Ma sorprendentemente, la direzione artistica riesce a rendere tutto coerente. I colori saturi, le ambientazioni esotiche e la violenza teatrale danno al titolo un'identità visiva precisa, anche se datata. I ragazzi di General Arcade hanno voluto mantenere queste caratteristiche e puntare tutto sulla dicotomia “amore/odio” che avrebbero così scatenato nei giocatori moderni.
Il comparto audio, purtroppo, è uno dei punti più deboli. Le voci risultano spesso fuori sincrono, la colonna sonora è ripetitiva, e gli effetti sonori sembrano provenire da una libreria campionata anni fa. Tutto ciò contribuisce al fascino da “gioco dimenticato”, ma mina anche la godibilità generale. Agli amanti delle grafiche spacca mascelle e l'audio spaziale 3D questo titolo potrebbe far venire un'eruzione cutanea da stress non indifferente. Mentre gli estimatori del trash potranno trovare in queste scelte un godimento non da poco.
Trofeisticamente parlando: i pirati non sono mai gentili
Ottenere il Platino di Captain Blood richiederà un certo impegno e anche di giocare l'intera storia diverse volte. Infatti, come potete leggere nell'elenco trofei del nostro forum, alcune coppe si sbloccheranno solo completando il gioco soddisfanno certi requisiti. Quello più impegnativo potrebbe essere di non perdere salute nello scontro con il boss finale. Dovremo quindi star attentissimi ai suoi svariati attacchi e pararli o schivarli tutti. Anche il trofeo che richiede di dover completare tutta la storia in due ore e mezza significa che ci obbligherà a saltare tutte le cutscene e anche qualche combattimento.
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