Dreams of Another – Recensione
C'è un luogo dove i sogni non svaniscono all'alba, ma si sedimentano come polvere cosmica. Dreams of Another, sviluppato e pubblicato da Q-Games Ltd. per PlayStation 5 e PS VR2, non è un gioco che si apre con un tutorial, ma con una morte. Il Soldato Errante cade, e al suo posto emerge l'Uomo in Pigiama, un viaggiatore onirico che non combatte, ma ascolta. Diretto dal visionario Baiyon (Tomohisa Kuramitsu), artista multimediale già noto per PixelJunk Eden, il titolo è un esperimento narrativo e sensoriale che trasforma il videogioco in un atto di empatia.

Frammenti di coscienza
La narrazione di Dreams of Another è costruita come un collage di sogni, ciascuno appartenente a un personaggio diverso. Non esiste una trama lineare, ma un percorso emotivo che attraversa traumi, desideri e rimpianti. Il giocatore interpreta l'Uomo in Pigiama, un'entità che si manifesta nei sogni per aiutare le persone a superare blocchi interiori. Ogni livello è una mente da esplorare, un microcosmo psicologico che si svela attraverso l'interazione con oggetti e ambienti.
Il gioco non offre spiegazioni esplicite: i dialoghi sono frammentari, spesso affidati a oggetti parlanti, e la comprensione avviene per intuizione. Si passa da sogni infantili a incubi bellici, da visioni astratte a ricordi dolorosi. Il Soldato Errante, pur essendo presente solo all'inizio, rappresenta il trauma originario, il punto di rottura da cui nasce il viaggio. L'Uomo in Pigiama, invece, è il simbolo della ricostruzione e della possibilità di guarigione.
Ogni sogno è un racconto a sé, ma tutti condividono un filo rosso: la tensione tra distruzione e creazione, tra perdita e rinascita. Non ci sono antagonisti nel senso classico, ma ostacoli interiori da superare. Il gioco non ti dice cosa pensare, ma ti invita a sentire. E in questo, riesce a essere più narrativo di molti titoli pieni di cutscene.
L'arte di sparare senza ferire
A livello di meccaniche, Dreams of Another si presenta come uno sparatutto in terza persona, ma la definizione è fuorviante. L'arma dell'Uomo in Pigiama non distrugge: crea. Ogni colpo è un impulso che trasforma l'ambiente, risveglia ricordi, modifica la struttura del sogno. Il gameplay è basato sull'esplorazione, sulla risoluzione di puzzle ambientali e sull'interazione con elementi simbolici.
Non esiste HUD invasivo, né obiettivi espliciti. Il gioco si affida alla curiosità del giocatore e alla sua capacità di leggere il contesto. Alcuni livelli richiedono di ricostruire ambienti distrutti, altri di dissolvere ombre o di seguire suoni. Il ritmo è contemplativo, ma non statico: ogni sogno ha una sua dinamica e una sua tensione emotiva.
La difficoltà quindi non è tecnica, ma interpretativa. Capire cosa fare significa capire cosa sta vivendo il personaggio sognante. In questo senso, il gameplay diventa un atto di ascolto, una forma di empatia interattiva. Il sistema di controllo è fluido e reattivo, con una particolare attenzione alla fisica degli oggetti e alla sensazione di movimento. L'Uomo in Pigiama può correre, saltare, interagire con elementi del sogno, ma ogni azione ha un peso emotivo. Non si tratta di “risolvere” il sogno, ma di accompagnarlo verso una forma di equilibrio.
La varietà dei livelli è notevole: si passa da ambienti claustrofobici a spazi aperti, da strutture labirintiche a paesaggi astratti. Ogni sogno è una sfida diversa, non tanto per la meccanica, quanto per la sensibilità richiesta. Il gioco non premia quindi la velocità, ma la presenza.

Baiyon e il sogno come linguaggio
La direzione artistica di Dreams of Another è il suo manifesto. Baiyon ha costruito un universo visivo che sfugge alle categorie: ogni sogno ha uno stile grafico unico, coerente con la psiche del personaggio. Si passa da ambienti minimalisti in bianco e nero a mondi saturi di colore e forme liquide, da scenari urbani distorti a paesaggi naturali stilizzati.
Il design dei personaggi è volutamente surreale: l'Uomo in Pigiama sembra uscito da un libro illustrato, mentre le creature oniriche oscillano tra il grottesco e il poetico. Gli oggetti parlanti – sedie, lampade, altalene – sono i veri narratori, e il loro aspetto riflette il tono del sogno.
Baiyon ha dichiarato che ogni elemento visivo è pensato per evocare, non per rappresentare. Il tema centrale, “No Creation Without Destruction”, si riflette nella trasformazione continua degli ambienti: ciò che viene distrutto genera bellezza, ciò che viene creato nasce dal dolore. L'arte non è decorazione, ma linguaggio emotivo. Su PlayStation 5, il gioco sfrutta le potenzialità della console con effetti particellari raffinati, illuminazione dinamica e una fluidità che valorizza ogni dettaglio. L'integrazione con PS VR2 poi aggiunge un livello di immersione che trasforma il sogno in presenza.

Frequenze dell'anima
La musica di Dreams of Another, composta dallo stesso Baiyon, è una componente fondamentale dell'esperienza. Non si tratta di semplici tracce di accompagnamento, ma di composizioni ambientali che si fondono con il mondo visivo e narrativo. Ogni sogno ha il suo tema musicale, costruito con sintetizzatori, campionamenti vocali e suoni ambientali.
La musica si modula in base alle azioni del giocatore, si intensifica nei momenti emotivi, si dissolve quando serve silenzio. In alcuni livelli, il suono è l'unico indizio per orientarsi, come in un sogno dove la vista è limitata e l'udito diventa bussola.
Il sound design è altrettanto curato: i rumori ambientali, i sussurri, le distorsioni acustiche contribuiscono a creare un'atmosfera sospesa, quasi ipnotica. L'uso del feedback aptico del DualSense amplifica la sensazione di immersione, rendendo ogni passo, ogni vibrazione, ogni respiro parte dell'esperienza.
La strada verso il Platino
Dreams of Another propone ben 49 trofei, di cui uno di Platino. Il percorso per ottenerli non è particolarmente lungo, ma richiede attenzione ai dettagli e una certa sensibilità interpretativa. Molti trofei sono legati alla scoperta di frammenti di sogno, altri richiedono invece di interagire con oggetti specifici all'interno dei vari livelli. Non ci sono però trofei legati alla difficoltà o al combattimento, ma solo alla comprensione e all'esplorazione. Il Platino è dunque accessibile, ma non banale: richiede di completare tutti i sogni, di ascoltare ogni oggetto parlante, di cogliere ogni sfumatura del titolo. È una coppa che premia la dedizione, non la bravura tecnica. Un Platino poetico, proprio come il gioco che lo ospita.
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