Der Tod ist über der Stadt
White Shadows è il punto di arrivo di un percorso iniziato tempo fa. Negli anni molti giochi hanno rappresentato un punto di svolta per il mercato indipendente. Tra i più grandi nomi c’è quello di Hotline Miami, un titolo il cui impatto riverbera ancora oggi attraverso tutto il settore e non solo, proprio grazie alla sua estetica e al suo stile. Alcuni mesi più tardi è stata la volta di Limbo, primo titolo dello studio Playdead che in seguito ha cementato il proprio posto nel pantheon con l’altrettanto acclamato Inside. Da un successo di tali proporzioni è difficile non aspettarsi una risposta da altri sviluppatori pronti a mettersi in gioco dopo aver imparato da queste pietre miliari.
White Shadows è l’opera prima dei tedeschi Monokel, come loro stessi annunciano orgogliosi nell’apertura del titolo. Fin dai primi momenti di gioco è subito chiaro quali siano le fondamenta sulle quali poggia il gioco, dallo stile monocromatico, cifra stilistica del già citato Limbo, alla citazione tratta da La Fattoria degli Animali di George Orwell: “All Animals Are Equal”. Insomma, chi ha dimestichezza vuoi con una, vuoi con entrambe le opere è già possibile intuire dove potrebbe condurre questo viaggio.
Ecco, viaggio è la parola più adeguata a descrivere l’esperienza vissuta con White Shadows. Si parte dai bassifondi di una misteriosa città, nei panni di una ragazza dalla testa di corvo appena emersa da un enorme telefono abbandonato sul fondo di un vertiginoso complesso di torri metalliche. Qui si muovono i primi passi, in assenza di un qualsiasi tutorial, anche se oltre al movimento, al salto e all’interazione con alcuni elementi di gioco non c’è poi molto altro da insegnare. Comincia così la scalata verso una città inondata di luci abbaglianti tanto quanto i luminosissimi occhi della protagonista, e ben presto è chiaro che l’accesso ci è proibito, in quanto uccelli e quindi portatori di una non specificata piaga.
Durante i primi minuti di gioco dominano allo stesso tempo curiosità e timore nei confronti di ciò che attende il giocatore, frutto di un sapiente lavoro sulle atmosfere del gioco: cupe e fredde tanto perché ricavate da lucido acciaio quanto perché immerse in un silenzio assordante interrotto da scricchiolii sinistri. La voglia di capire cosa sta succedendo, come si è arrivati a questo mondo sospeso tra 1984 e La Fattoria degli Animali, qual è lo scopo della nostra protagonista, è talmente forte da spingere quasi in una corsa timorosa verso l’ignoto. White Shadows riesce a mantenere sempre vivo l’interesse e a concludere il tutto con un enigmatico ma assai suggestivo finale. Peccato per un terzo atto forse un po’ troppo debole, che abbandona la narrazione ambientale per proporre un racconto per certi versi più tradizionale. Pare quasi che gli sviluppatori non fossero convinti delle proprie capacità o non avessero fiducia nell’interpretazione dei giocatori.
L’intenzione del gioco è, in primis, quella di raccontare una storia. L’aspetto ludico non è trascurato e non mancano sezioni nelle quali evitare ostacoli, saltare tra piattaforme, nascondersi dalle luci delle guardie e risolvere semplici enigmi, ma in caso di fallimento il sistema di punti di controllo è molto più che benevolo e spesso riporta il nostro personaggio a pochi passi prima della sua dipartita. Pur essendoci sezioni più impegnative, il gioco non intende punire i meno capaci per un salto mal calibrato o una piccola disattenzione.
Come già detto, un primo sguardo sembra confermare la parentela, quantomeno visiva, con Limbo. White Shadows punta molto sul contrasto tra luce e oscurità anche per via dei temi proposti dalla storia che il titolo desidera raccontare. Lo studio Monokel non ha voluto semplicemente emulare la formula di Playdead, ma ha voluto infondere la propria creatura con la linfa delle sue radici tedesche. I richiami al cinema espressionista teutonico si sprecano, con architetture, inquadrature e scelte stilistiche derivate da classici come il Metropolis di Fritz Lang. Inoltre, quando l’avanzata della protagonista non è apostrofata dai rumori ambientali, la colonna sonora propone una selezione di celebri pezzi di musica classica. Il comparto audio passa così da un lugubre minimalismo a un tono grandioso e talvolta grottesco per via delle situazioni descritte.
White Shadows è un titolo che forse non dirà molto a chi si fermerà soltanto a guardare alcune immagini prese da un qualsiasi momento del gioco. Il vero prodigio una volta in movimento, merito di una regia davvero ispirata e pronta a proporre sempre inquadrature che parlano agli occhi del giocatore, con alcuni cambi di prospettiva di grande effetto all’interno di questo piccolo, grande diorama. Purtroppo, non tutte le transizioni sono gestite al meglio: talvolta sono inspiegabilmente interrotte da scene fuori contesto, in alcuni casi sono azzoppate dalla realizzazione tecnica del titolo, non priva di sbavature
A dettaglio massimo, White Shadows si presenta a sessanta frame al secondo per gran parte del tempo, ma soffre di severo stuttering durante alcuni passaggi tra scene. In alcune occasioni è evidente un certo pop-out di elementi tanto dello sfondo quanto nei primi piani delle inquadrature. Tutto sommato si tratta di eventi non così frequenti, esaltati più che altro dalla risicata longevità del titolo. Infatti, il gioco può durare attorno alle tre orette, minuto più, minuto meno. Per alcuni potrebbe sembrare troppo poco e da un lato si sarebbe potuto fare di più anche per permettere alla storia di respirare ancora. D’altro canto, così com’è presentata l’esperienza, si può parlare di tre ore ben bilanciate e soddisfacenti. È anche da segnalare l’assenza della lingua italiana e, anche se il gioco non presenta troppe linee di testo, questo fattore potrebbe allontanare chi meno conosce la lingua inglese.
È difficile guardare White Shadows e non pensare ad alcuni piccoli colossi del mercato indipendente, ma la forza di questo titolo tedesco è quella di riproporre una formula già vista sotto un’altra luce, letteralmente. Benché la trama inciampi a pochi passi dal traguardo, il mondo orwelliano raccontato con un sapiente linguaggio cinematografico è tanto affascinante quanto terrificante. I giocatori in astinenza dai titoli targati Playdead troveranno non solo una buona alternativa, ma anche un gioco capace di dire la sua nonostante le numerose e palesi ispirazioni. Arrivati ai titoli di coda, è difficile non immaginarsi un florido futuro per i capaci Monokel.
Luca Strife
Per me Alan Wake fu un'esperienza quasi traumatica al Day One della remastered. Più volte ho dovuto ricominciare i capitoli per via di bug fatali che mi impedivano di procedere. A te è filato tutto liscio?
Steto96
Addirittura? Non immaginavo, a me è andato tutto più che bene. Lato tecnico non posso dire veramente nulla, framerate a 60 costanti, no bug o glitch e così via
Shinichi Kudo
🥰
Calliope
Analisi molto interessante