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Zethras Gorgoth

ha scritto una recensione su Elden Ring

Cover Elden Ring per PC

Un buon titolo, ma non un capolavoro

(Fair warning: sta per arrivare un papiro chilometrico, e ci saranno sp0iler, siete avvertiti)

Ammetto che per me è abbastanza difficile scrivere questa recensione. Da una parte c'è il discorso di quanto il mio primo impatto con Elden Ring sia stato catastrofico (del resto l'anno scorso mi sono preso la nomination come miglior hater proprio per questo motivo; non ho mai fatto mistero del mio disprezzo verso la nuova fatica FromSoftware), e dall'altra c'è la rivalutazione che ho fatto durante la run che ho fatto in tempi relativamente recenti. Ora... alcune opinioni che avevo su Elden Ring sono cambiate, altre.... decisamente no. Per chi non ha voglia di leggere il post chilometrico che sta arrivando, vi risparmio la fatica: Elden Ring è un buon titolo. Lo reputo un capolavoro? Assolutamente no. Lo reputo un buon titolo che vale la pena comprare? Si, con delle riserve.

Per chi invece ha voglia di leggere... vediamo di che si tratta.

Partiamo dalla trama, che a dispetto di quanto dice molta gente esiste ed è vastissima come in ogni Souls che si rispetti: siamo un Senzaluce, uno dei tanti a dire il vero, riportato in vita se così si può dire per reclamare l'Anello Ancestrale e divenire il nuovo Lord Ancestrale. L'Interregno, teatro delle nostra evventure, non è che l'ombra di ciò che era un tempo. I luoghi che ci troveremo a visitare sono fatiscenti, memori della gloria passata, e ad ogni passo che compiamo, ad ogni descrizione che leggiamo, veniamo sommersi dalle trame di una storia che parla d'amore, brama di potere, tradimenti ed entità divine. Non siamo il campione prescelto come succede in Dark Souls, siamo uno fra i tanti risvegliati e starà a noi dimostrare il nostro valore. A livello di storytelling, Elden Ring è il titolo che forse mi ha colpito maggiormente fra i vari Soulsborne, e devo ammettere che in particolare le storie che coinvolgono Rennala e Ranni sono quelle che più di tutte mi sono rimaste nel cuore e che ancora oggi ripenso con maggior affetto. Oltre che quelle che ho rivissuto più volentieri nella mia run. Hidetaka Miyazaki, insieme a George R.R.Martin, è riuscito ancora una volta a regalarci un mondo narrativo denso e di spessore, che non sfigura davanti a quelli delle sue precedenti opere ma che, anzi, riesce a surclassarli e imporsi come migliore del franchise.

Tuttavia, se non posso che esprimermi positivamente per quanto riguarda la trama e il modo in cui viene raccontata, lo stesso non si può dire del gameplay e di tutto ciò che vi ruota attorno.

Una delle cose che mi ha sempre fatto inarcare un sopracciglio con fare dubbioso, quando si parla di Elden Ring, è il suo venire acclamato come rivoluzionario, come un titolo che ha ridefinito il genere open world settandone nuovi standard e ponendosi come metro di paragone per le opere future; niente di troppo diverso da ciò che è avvenuto recentemente con Baldur's Gate 3, potremmo dire. Il punto però è che trovo questa affermazione non soltanto falsa, ma altresì frutto del cosiddetto "overhype" che circonda da sempre le opere di casa FromSoftware. Lasciatemi spiegare:

Se volessimo semplificare di molto ciò che è il nucleo del setting di Elden Ring, potremmo dire che non si tratta di altro che della formula tipica dei Soulsborne impiantata in un ambiente open world, con l'aggiunta di un cavallo perché, obiettivamente, l'Interregno ha un'estensione colossale e percorrerlo completamente a piedi sarebbe a dir poco sfiancante. Il problema però è proprio questo, perché è davvero tutto qui ciò che fa Elden Ring. Ciò che a parere personale ha reso iconico il setting dei Soulsborne è il far ritrovare il giocatore, e con esso il personaggio che controlla, in ambienti relativamente ristretti, o macro mappe estese ma contenute, creando un feeling molto intimo per certi versi, oltre che a portare il giocatore a conoscere a menadito le ambientazioni col tempo e sufficienti playthrough, rendendolo quindi in grado di individuare percorsi, escamotage e quant'altro con sufficiente esperienza. Qui invece si è scelto di ampliare a dismisura il percorribile, e l'effetto che si ottiene non è solo quello di dare al giocatore un mondo aperto e completamente esplorabile ma, purtroppo, anche quella che a mio parere è una diluizione deleteria dell'esperienza. La formula Fromsoftware è li, è ben presente e riconoscibile, ma a causa del setting open world questa va a perdere in termini di densità, creando un senso di dispersione.

Certo, sono ben consapevole di come sia presente un gran numero di quest e sotto trame, così come sono consapevole del fatto che esistano i cosiddetti legacy dungeon, che sono la versione di questo gioco delle mappe dei vecchi Dark Souls (ambienti contenuti con percorsi interconnessi, shortcut e via dicendo) ma sono anche consapevole di come queste sub-quest risultino a tratti dispersive proprio a causa dell'enorme spazion in cui sono spalmate, e di come risulti fin troppo facile perdersi qualcosa proprio per questo motivo. L'open world di Elden Ring è si estremamente vasto ed esplorabile, ma è un'estensione riempita al 90% di cose che vogliono farsi un berretto con le tue budella; è un mondo che paradossalmente manca di vita, al contrario di come avviene in altri open world. Titoli come Red Dead Redemption 2, The Witcher 3 e perfino Skyrim hanno secondo me affrontato l'aspetto open world meglio di come abbia fatto Elden Ring, perché a differenza di quello che accade nel mondo creato da FromSoftware, nei titoli citati si percorrono le strade percependone la vita, vivendo quei mondi come reali, nei quali non ci sono solo lotte, battaglie e nemici ma anche interazioni di vario genere, umane e credibili (in questo Skyrim è più manchevole, ma sto divagando)

Oltre a tutto questo, l'aspetto open world di Elden Ring porta con sé un altro difetto, che secondo me si rivela essere l'ultima mazzata su una feature che secondo me non è stata implementata nel migliore dei modi: la scarsa varietà di boss e dungeon secondari. Perché se da una parte Elden Ring rimane fedele agli stilemi del franchise, proponendo innumerevoli boss fight, alcune delle quali epiche e veramente pregevoli (basti pensare ad entità come Godrick o Radahn, protagonisti di due dei migliori combattimenti del titolo, così come reputo Godfrey e Radagon il punto più alto del gioco in tal senso) dall'altra l'aspetto open world del gioco ha inevitabilmente finito per annacquare questa varietà. Elden Ring è pieno fino all'esasperazione di dungeon secondari, ognuno dei quali ha una sua boss fight, ma più spesso che no queste boss fight non sono altro che nemici base glorificati, con statistiche superiori alle loro controparti "base" (o in alcuni casi inferiori, come i cavalieri marcescenti che si incontrano in una certa grotta nascosta di Caelid, nettamente inferiori ad alcune loro controparti "comuni"). Gli stessi dungeon sono parimenti un continuo riciclare gli stessi asset in termini di architetture e situazioni, spesso con qualche variazione sul tema ma comunque sempre riciclate. Esempio lampante di questa situazione sono le catacombe, con due o tre varianti sparse per i vari dungeon ma comunque sempre quelle in termini di asset e nemici incontrati all'interno; un difetto questo che viene ampiamente condiviso con Skyrim ad esempio, fra i titoli che ho citato poco fa.

L'ultimo difetto di cui voglio parlare (e lo giuro, è davvero l'ultimo, dopo questo paragrafo si parla solo di pregi, promesso) è il bilanciamento della difficoltà. Come in molti sapranno, Yui Tanimura, che sostituì al tempo Hidetaka Miyazaki nella direzione di Dark Souls 2, in quanto Miyazaki era impegnato sullo sviluppo di Bloodborne, è stato co-direttore di Elden Ring e purtroppo la sua mano si può percepire con estrema chiarezza in determinate situazioni. Non è un segreto per nessuno che il modus operandi di Tanimura sia quello di rendere il gioco artificialmente difficile per complicare la vita "a caso" al giocatore, proponendo un setting che non è arduo in maniera meccanica, ovvero reso tale da un oculato posizionamento dei nemici, dalla costruzione degli stessi o da scelte ponderate e studiate ad hoc, ma semplicemente soverchiando di avversari il giocatore, dando a questi ultimi damage output improponibili e ponendo il giocatore stesso in situazioni di privazione o di marcata disparità. Esempi di questo approccio li si possono trovare in nemici quali il lupo di Radagon, i tre soldati draconici fantasma nei campi di neve consacrati e la maggior parte del mausoleo della dinastia Mogwhyn, ma anche nella boss fight contro il drago Theodorix, al modo in cui sono costruiti Ordina e l'albero di Miquella e nella composizione e struttura di alcuni dungeon secondari, per lo più catacombe nei campi di neve ed una in particolare presente a Caelid (per chi sa: catacombe dei morti in guerra, post Radhan)

Questo cosa porta? Ad un setting in cui la difficoltà è generalmente ben bilanciata, e che propone al giocatore una sfida ardua, a tratti crudele e spietata come da tradizione FromSoftware, ma che presenta frequenti e -a volte- totalmente immotivati spike di difficoltà che finiscono per rovinare parzialmente l'esperienza in quello che secondo me è pure un titolo ben bilanciato nel suo complesso, con sfide ben calibrate e costruite e nemici estremamente interessanti da affrontare (quando non vengono copincollati, ovviamente, cosa che accade spesso a dire il vero)

Parlando dei pregi... possiamo cominciare dicendo che sono in buona parte gli stessi che si possono riscontrare in un qualsiasi titolo Soulsborne e Soulslike in generale. Il sistema action rpg utilizzato da questo genere di titoli fin dall'alba di Demon's Souls continua a venire utilizzato anche qui, con ben pochi -ma necessari e graditissimi- miglioramenti che rendono il gameplay di Elden Ring fra i più divertenti e gratificanti dell'intero franchise made in FromSoftware.

Tanto per incominciare il sistema di movimento è stato reso più fluido e gestibile di quello già ottimo presentato con Dark Souls 3, e la risposta ai comandi è rapida e precisa quanto basta da farci sentire realmente in controllo della situazione. Alla formula già collaudata sono state aggiunte tre distinte funzionalità che portano il gameplay di Elden Ring su di un livello superiore a quello degli altri Soulsborne: il salto, l'accovacciamento e la possibilità di richiamare il proprio destriero spettrale, Torrent, tramite il quale è possibile attraversare ampi spazi di mappa in tempi relativamente brevi. Queste nuove aggiunte hanno tuttavia portato a dover modificare un poco il layout dei tasti sul controller, il che significa che se si esce freschi da una partita a Dark Souls 3 risulterà difficile in un primo momento raccapezzarsi con i tasti e le azioni che fanno compiere, e l'operazione di prendere l'arma a due mani risulterà, qui, leggermente più macchinosa di quanto sarebbe opportuno, ma è un difetto quasi trascurabile che viene pressoché dimenticato dopo la prima ora di gioco, tramite l'abitudine.

Dove Elden Ring risplende sul lato gameplay è senza dubbio sul sistema di crafting, e più in generale nella gestione delle armi. Come avveniva anche in Dark Souls 3, in Elden Ring le armi possono effettuare degli attacchi speciali, o weapon arts, consumando i punti magia del personaggio. Ma se in Dark Souls 3 le weapon art erano proprietarie delle armi e non potevano essere cambiate in alcun modo, in Elden Ring si è deciso di dare totale libertà al giocatore, permettendogli non soltanto di decidere quale infusione elementale dare all'arma in maniera completamente libera, con l'unico vincolo di possedere una weapon art dell'elemento corrispettivo, ma anche di cambiare weapon art alle armi, conferendo quindi al giocatore una libertà assoluta in termini di costruzione della propria build e del proprio setup di attacco e difesa. Trovando le lame da forgiatura adeguate, sparse nelle varie location, sarà possibile acquisire man mano maggiori possibilità in tal senso, eliminando on buona parte il macchinoso sistema di infusione delle armi presente fin dall'alba del franchise.

A questo elemento va ad aggiungersi una vera novità nell'economia del gameplay di Elden Ring: la possibilità di creare noi stessi equipaggiamenti e consumabili di vario genere. Girovagando per l'interregno troveremo infatti un numero enorme di materie prime, le quali potranno poi essere utilizzate in un apposito menu per creare un'enorme varietà di oggetti; dalle munizioni ai rimedi contro vari status alterati, passando per consumabili offensivi come le bombe di fuoco e altri oggetti di utilità, elementi che conferiscono ulteriore profondità e varietà alla costruzione e personalizzazione della nostra build.

Ulteriore elemento di pregio è rappresentato dalla varietà di equipaggiamenti messa a disposizione del giocatore, mai raggiunta da nessun altro titolo non solo di casa FromSoftware, ma di tutto il genere Soulslike. In Elden Ring sono infatti presenti armi e armature di ogni genere e tipo, ognuna con moveset e caratteristiche specifici ed estremamente versatili, e risulterà quindi estremamente difficile non trovare qualcosa che si adatti al proprio stile di gioco preferito. Anche il dual wielding, ovvero la capacità di brandire due armi contemporaneamente, è stato ulteriormente snellito e fatto virare verso una deriva maggiormente user friendly; ora l'unico vincolo posto al giocatore è la necessità che le due armi impugnate rientrino nella medesima categoria. Soddisfando questo requisito, basterà equipaggiare le due armi per poterle utilizzare in combo, vedendo anche una modifica del moveset. Una semplificazione che dimostra come FromSoftware sia stata capace di imparare dagli errori fatti in Dark Souls 2 e 3, portando la meccanica ad un livello di godibilità mai visto nella serie.

Sono presenti anche svariati elementi di quality of life decisamente apprezzabili e pregevoli, come la possibilità di teletrasportarsi ad una qualsiasi delle grazie scoperte sulla mappa, laddove nei precedenti Soulsborne tale operazione era possibile solo utilizzando un oggetto specifico o raggiungendo il falò -o la lanterna- più vicino, ed è inoltre possibile usufruire di un comodo menu rapido, che funge da complemento al classico "cinturone" degli oggetti, che consente di avere sempre a disposizione gli oggetti che desideriamo utilizzare più spesso con una semplicissima combinazione di tasti.

Le boss fight di trama, o comunque quelle non legate a dungeon secondari minori, sono fra le più belle che si possa avere il piacere di affrontare in un qualsiasi titolo del genere. Ognuna è ben caratterizzata e contestualizzata, e salvo qualche pecca in alcuni scontri (come quelli che vedono protagonisti Mogh e Rykard, a parere personale) si può affermare senza timore di smentita che siamo davanti al punto più alto mai raggiunto da FromSoftware in questo particolare aspetto dei propri giochi. Ognuna di queste boss fight, oltre ad avere una varietà di setting e costruzione da lasciare senza fiato, è accompagnata da una colonna sonora spettacolare, epica e coinvolgente, che ben sottolinea l'importanza dello scontro e che permette al giocatore di immergersi completamente nella sua atmosfera, dandogli la sensazione tangibile di affrontare scontri con esseri superiori, un qualcosa in cui i Soulsborne hanno sempre saputo centrare il punto.

Sul lato tecnico, possiamo dire che Elden Ring si pone su livelli ottimi; l'aspetto grafico non è sicuramente spaccamascella o qualcosa di mai visto, eppure l'impatto estetico e artistico di Elden Ring si pone su di un livello estremamente alto, con una buona ottimizzazione che anche senza possedere una build particolarmente potente per gli standard attuali è capace di offrire uno spettacolo visivo ed un'atmosfera pregevoli, con qualche occasionale calo di frame in determinate zone dove gli effetti grafici si fanno più copiosi e complessi.

In definitiva posso dire di aver rivalutato Elden Ring?
In buona parte la risposta è si, sebbene come ho avuto modo di elencare nella recensione ci siano alcuni difetti sui quali non sono riuscito a soprassedere. I pregi sono tanti, e sono evidenti, e sono pregi che in altre condizioni mi avrebbero fatto dare un 10 pieno all'ultia fatica FromSoftware. Tuttavia ci sono anche difetti che, soggettivi o meno, mi hanno portato ad abbassare drasticamente il voto, cosa che in tutta franchezza mi reca un certo dispiacere. Non ho potuto tuttavia soprassedere su un bilanciamento della difficoltà assolutamente scandaloso in determinati frangenti, soprattutto considerando l'eccellente lavoro fatto nella maggior parte del gioco, e l'aspetto open world del titolo è stato a mio parere implementato nel modo errato, dandomi sempre più spesso l'impressione di trovarmi davanti ad un'opera diluita nei contenuti, che è stata resa in qualche modo artificialmente più longeva aggiungendo contenuti dei quali non c'era bisogno e che mi hanno dato l'impressione sempre più vivida di essere stati aggiunti solo per allungare il brodo.

Volendo chiudere quello che più che una recensione è una sorta di trattato su Elden Ring, mi sento di consigliare l'acquisto a chiunque sia affamato di Soulslike e dell'eccellenza FromSoftware, ma allo stesso tempo mi sento anche di mettere in guardia chi intende acquistare il titolo: Elden Ring non è un brutto gioco, anzi. E' un ottimo titolo che porta alcune necessarie migliorie all'ormai collaudata formula FromSoftware, ma che compie degli scivoloni che a parere mio abbassano una qualità che in loro assenza avrebbe potuto tranquillamente essere definita perfezione assoluta. Sono personalmente convinto che con un bilanciamento più oculato e omogeneo ed una restrizione degli ambienti di gioco in favore di una formula più classica, con mappe più contenute e dense, Elden Ring avrebbe tranquillamente potuto essere definito "il Soulslike perfetto". Ma sotto questo punto di vista, lo ripeto per l'ultima volta, Miyazaki e compagnia hanno mancato il punto.

Però lo ammetto: alla fine mi sono divertito per davvero.

7.5

Voto assegnato da Zethras Gorgoth
Media utenti: 9.1 · Recensioni della critica: 9.2

Zethras Gorgoth
Cover Being a DIK - Season 1 per PC

Family comes first

Il medium della pornografia è evoluto in maniera spropositata nel corso degli anni. E se oggi i siti a tema sono fra i più visitati -e, perché no, redditizi- del panorama di internet, il medium legato all'intrattenimento sessuale non si è certo fermato alla semplice fruizione di video e film. Col tempo si ha infatti messo radici anche nel mondo dei videogiochi, creando quelle che sono oggi conosciute come Adult Visual Novels, o AVN per gli addetti ai lavori. Si tratta per lo più di avventure grafiche, nelle quali l'erotismo svolge un ruolo predominante, e nelle quali la componente narrativa può essere più o meno approfondita. Talvolta è predominante, mentre altre volte è solo un mero pretesto per portare alle scene di sesso, che spesso e volentieri si riducono a semplici immagini statiche e, quando proprio va bene, a scene con pessime animazioni e rendering discutibili. Esistono tuttavia delle piccole gemme, prodotti spesso e volentieri realizzati da una sola persona, che riescono ad elevarsi dalla melma di mediocrità così predominante nell'ambito delle AVN.

Being a DIK, seconda opera dello sviluppatore DrPinkCake, già noto a chi conosce il settore per aver realizzato l'eccellente Acting Lessons, ricade proprio in questo gruppo di prodotti, offrendo al giocatore non soltanto scene erotiche di pregevole fattura ma anche una storia narrata in maniera magistrale ed una tonnellata di feature aggiuntive che elevano il titolo a vero e proprio capolavoro del genere. Ma andiamo con ordine.

Giocando a Being a DIK vestiremo i panni di uno studente del college senza nome, conosciuto tuttavia col soprannome di Tremolo. Stabilitosi al campus della Burgmeister&Royce, Tremolo avrà presto modo non soltanto di fare nuove conoscenze ed amicizie, fra le quali figurano ragazze splendide e tanto variegate nell'aspetto e nella caratterizzazione da soddisfare qualsiasi tipo di preferenza e gusto, ma anche di scontrarsi con la dura realtà di quella che è la vita in un campus universitario, delle confraternite e dei dissapori fra queste ultime, venendo contemporaneamente catapultato in vicende ed intrighi che spesso e volentieri toccano temi sensibili e lo fanno con una delicatezza ed un tatto inaspettati per un titolo che, nell'immaginario collettivo, dovrebbe "servire" unicamente a dare qualche spunto per rapide sessioni di auto erotismo.

Being a DIK tuttavia offre molto più di questo, nonostante le scene di sesso siano in gran numero e tutte ben realizzate con movimenti piacevoli e svariate opzioni fra cui scegliere per proseguire il coito. E' la giocabilità del titolo a farla da padrone sopra ogni altra cosa. Se da un lato infatti avremo a che fare con un classico gameplay narrativo su binari, nei quali ci sarà concesso solo di leggere i dialoghi e operare svariate scelte nelle nostre risposte, dall'altro il buon DrPinkCake ha ben visto di inserire numerose variazioni per rendere ogni partita diversa dalla precedente. A cominciare dall'indicatore DIK/CHICK, non dissimile nella sostanza dal sistema di moralità Paragon/Renegade presente in Mass Effect, che andrà a riempirsi dall'una o dall'altra parte in base alle scelte che compiremo e che influenzerà alcuni eventi di gioco, arrivando perfino a precluderci alcune relazioni romantiche nel caso il nostro metro fosse troppo sbilanciato da una parte piuttosto che dall'altra.

Sono poi presenti numerosi mini-giochi, inseriti in maniera naturale ed organica nella narrazione, che servono a spezzare il ritmo ma che contemporaneamente ci permettono di vivere in maniera un po' più immersiva e coinvolgente l'avventura del nostro Tremolo. Tali mini-giochi sono tuttavia del tutto opzionali ed è possibile farne senza al 100%, senza che questo precluda alcunché, ad eccezione ovviamente degli achievement di Steam ad essi collegati. Sono poi presenti i cosiddetti eventi Free-Roam, nei quali potremo spostarci più o meno liberamente fra le stanze di una determinata location ed interagire con l'ambiente ed i personaggi, sbloccando di volta in volta interazioni più o meno approfondite o perfino scene di sesso esclusive per quello specifico evento. Ad ogni evento Free-Roam saranno poi legati alcuni obiettivi secondari, non obbligatori ai fini del proseguimento della trama ma ugualmente piacevoli e che permettono lo sblocco di alcune interazioni molto interessanti. Durante questi eventi sarà infine possibile trovare alcuni collezionabili, i quali di contro sbloccheranno immagini e premi nell'apposita galleria dei bonus.

Uno dei maggiori pregi di Being a DIK è senz'altro la colonna sonora, che a differenza di quanto avviene con altri titoli AVN non si affida unicamente a composizioni royalty-free, ma presenta veri e propri pezzi originali di svariati autori; Punk Rock Flu dei Friday Prophet, You're Easy To Love di Diverse Music, Sit on The Crown dei Jam Studio e Destiny di DJ Kimera sono solo alcuni dei brani presenti all'interno di Being a DIK, brani che potrete facilmente collegare a determinati momenti della trama una volta che li avrete vissuti e che, in effetti, vi verrà difficile identificare altrimenti ad un certo punto.

Di difetti Being a DIK ne ha veramente pochi, siamo per chi scrive nell'ambito della vera e propria eccellenza videoludica in ambito Visual Novel, ma se dovessi azzardarmi ad elencarne qualcuno direi senza dubbio la mancanza di scelta in determinate situazioni. Di scelta, in effetti, ne viene offerta tanta al giocatore -molta di più di quanto avveniva in Acting Lessons comunque- ma ci sono determinati momenti di trama nei quali ciò non avviene e alcuni eventi si svolgono che ci piaccia oppure no, senza che ci sia in alcun modo possibile evitarlo. Un peccato, in effetti, ma comprensibile nell'ottica di un "disegno più ampio" nel quale certi eventi sono necessari allo svolgimento della trama pensata da DrPinkCake. A questo ovviamente si aggiunge la mancanza di una localizzazione italiana, che rende il gioco non immediatamente fruibile a chi non comprende l'idioma anglofono.

Sembra follia incensare così tanto un titolo erotico, eppure sono qui a farlo. Un'autentica perla in un panorama di titoli pensati unicamente per fasvorire l'orgasmo facile ai maschietti arrapati, un titolo che si erge fiero nella propria diversità con una narrazione avvincente ed una storia tutto sommato estremamente plausibile al netto di qualche "salto dello squalo" che tuttavia si può perdonare considerando il genere a cui appartiene. Una grafica estremamente piacevole e personaggi memorabili e ben realizzati, sia a livello estetico che di caratterizzazione, una colonna sonora che rimane in testa e una giocabilità sorprendente per il genere sono solo alcuni degli enormi pregi di questo titolo.

Fatevi un favore e provate Being a DIK; non ne rimarrete delusi.

9.5

Voto assegnato da Zethras Gorgoth
Media utenti: 9.5

Zethras Gorgoth

ha scritto una recensione su Resident Evil 4

Cover Resident Evil 4 per PC

Il nuovo RE dei REmake

Il Resident Evil 4 del 2005 è un titolo a dir poco controverso.
Non soltanto fu l'artefice della virata più action e meno horror (roba che il più latte, meno cacao della Kinder può accompagnare solo) ma fu anche responsabile di alcune innovazioni che hanno coinvolto il medium videoludico nel suo complesso. Fu infatti Resident Evil 4 il primo gioco della storia a far uso dell'inquadratura over the shoulder, alla quale peraltro oggigiorno molti titoli devono il proprio setting di gameplay. Esempi lampanti sono i Gears of War, Dead Space, The Last of Us e, naturalmente, tutti i Resident Evil dopo il quarto capitolo, insieme ai remake del 2 e del 3. Ma senza perdersi troppo in chiacchiere, la domanda che sorge spontanea è una, e una soltanto: Resident Evil 4 Remake riesce a rendere giustizia al titolo originale? La risposta breve è: si, cazzo!

Per la risposta lunga e più argomentata (che non comprenderà in alcun modo discussioni inerenti allo svolgimento di trama, per evitare sp0iler involontari).... continuate a leggere.

Semplificando molto, Resident Evil 4 Remake prende un titolo ancora oggi ottimo, seppur legnoso e rigido nei propri controlli per gli standard odierni, e cerca di migliorarne ogni singolo aspetto. Ancora una volta controlleremo Leon S.Kennedy, sopravvissuto all'incidente di Raccoon City e passato da un addestramento militare che lo ha reso una vera e propria one man army, conferendogli capacità fisiche e combattive straordinarie. E di queste capacità combattive ce ne sarà immensamente bisogno perché, insomma, è pur sempre di un Resident Evil che stiamo parlando, il che di conseguenza vuol dire che ci ritroveremo in un mondo pieno di nemici che non vedono l'ora di farsi un berretto con le nostre budella. Proprio come nel titolo originale Leon disporrà di un arsenale di tutto rispetto per far fronte alle minacce che gli verranno scagliate contro, arsenale che verrà sbloccato organicamente col proseguire della trama tramite il mercante, che ci offrirà armi che non saranno necessariamente migliori di quelle attualmente in nostro possesso ma, piuttosto... diverse. Ogni arma ha infatti il proprio carattere, il proprio modo di essere utilizzata e i suoi punti di forza, e ognuna può essere potenzata per migliorarne le prestazioni, disponendo inoltre di un upgrade esclusivo che ne enfatizza una data caratteristica. Dalla potenza di fuoco alla velocità di ricarica, passando per la capacità di perforazione per terminare con la capacità del caricatore.

Tramite il mercante potremo svolgere la maggior parte delle nostre operazioni, che siano l'acquisto di risorse o il potenziamento delle armi. Proprio nel mercante è possibile trovare un'aggiunta piacevole, che consiste nella possibilità di scambiare i cosiddetti spinelli (gemme che nel gioco costituivano un bottino comune reperibile nella mappa) in cambio di risorse speciali come parti delle armi, mappe del tesoro o valigette aggiuntive, che andranno ad aggiungersi a quella di partenza e che svolgeranno una funzione ben più complessa di quella puramente cosmetica, dal momento che ognuna avrà un suo effetto particolare che influenzerà il gameplay, in maniera simile a come faranno i ciondoli da attaccare la valigetta, sbloccabili con un mini-gioco e posizionabili sulla valigetta con effetti estremamente variegati, permettendo di creare una sorta di “build” in base al nostro stile di gameplay ed alle nostre necessità.

Parlando di gameplay... quanto è cambiato? Molto più di quanto si potrebbe pensare, ma non abbastanza da rendere il gioco irriconoscibile. La meccanica dello stordimento dei nemici è sempre presente, così come lo è la possibilità di colpirli col coltello per risparmiare munizioni, ed è proprio nel coltello che si ritrova una delle prime differenze col titolo originale: esso avrà infatti una sua durabilità e se lo utilizzeremo troppo finiremo per romperlo, cosa che ci costringerà a farlo riparare dal mercante ma, in un'ottima idea di game design, sparsi per il gioco sono presenti vari coltelli “minori”, utilizzabili al posto di quello principale come vera e propria “carne da macello”, per poter conservare la durabilità della nostra arma bianca per i momenti di reale necessità. Il coltello infatti è stato ampliato nei propri utilizzi, e se da un lato è possibile, come in Resident Evil 2, utilizzarlo per liberarsi da una presa nemica, in questo Resident Evil 4 è possibile utilizzarlo anche per eseguire dei veri e propri parry -consumandone ovviamente la durabilità- o per sfruttare una meccanica stealth che consente risparmiare munizioni, e che per quanto utile non è in alcun modo forzata o strettamente necessaria per il proseguimento.

I nemici che incontreremo, i cosiddetti Ganado, sono estremamente più aggressivi rispetto al titolo originale, e molto più intelligenti; succederà infatti in continuazione di vederli cercare di accerchiare Leon per colpirlo alle spalle, ad esempio, e coordinarsi fra di loro per assalirci, e se da una parte questo aggiunge un po' di pepe alla pietanza, dall'altra è proprio nel bilanciamento della difficoltà che si riscontra quello che è per me l'unico vero grande difetto di questo titolo: spesso infatti ci si ritrova nella condizione di subire danni percependoli come immeritati, vuoi perché si viene colpiti senza nemmeno aver avuto il tempo di alzare l'arma, vuoi perché si subisce uno stunlock mortale da parte dei nemici... o perché si viene colpiti proprio al termine di un'animazione che ci garantisce l'invincibilità senza avere il tempo di reagire.

I nemici sono tanti, e ci ritroveremo spesso a dover svuotare interi caricatori per liberarci il passaggio, fattore che viene controbilanciato dai costanti drop dei nemici alla loro uccisione, che ci permetteranno di rimpinguare le nostre riserve grazie anche -e soprattutto- alla neo introdotta meccanica di crafting, già presente nei due remake precedenti e qui espansa e resa più complessa, ma comunque estremamente soddisfacente una volta che si capisce come sfruttarla al meglio.

Ogni singolo personaggio fa il proprio ritorno in questo remake, e il restyle tanto estetico quanto caratteriale è uno dei fiori all'occhiello di Resident Evil 4 Remake. I personaggi sono credibili, non più delle macchiette da film di serie B come lo erano le loro controparti del 2005. Sono umani, sono persone con le quali si può empatizzare e che provano e fanno provare sensazioni vere e tangibili, al punto che perfino Ashley, che nel titolo originale era una vera e propria palla al cazzo, in questo remake diventa non soltanto un personaggio apprezzabile ma il vero capolavoro di scrittura del titolo, che le rende giustizia e la rende un personaggio col quale è piacevole avere a che fare e che crea una vera e propria chimica con Leon, similmente a come succede col personaggio di Louis.

Resident Evil 4 Remake non è perfetto, come gioco in sé, ma ci va maledettamente vicino. Prende il titolo originale e gli da una bella lucidata, migliorando gli elementi vetusti e invecchiati male e modernizzandoli per renderli apprezzabili anche ad un'audience moderna. Giocando a questo titolo si ha la costante sensazione di sentirsi a casa e non sarà raro riuscire a prevedere con precisione quasi chirurgica quali eventi ci aspetteranno in un determinato momento, ma allo stesso tempo le carte in tavola sono state mischiate quel tanto che basta da mantenere l'effetto sorpresa anche per i veterani, costruendo quello che secondo me è l'epitome di come un remake andrebbe realizzato. Fino ad oggi questo titolo spettava al remake del primo Resident Evil, ma possiamo dire senza timore di smentita che Resident Evil 4 Remake fa un lavoro migliore del capostipite nel riproporre in chiave moderna il proprio titolo originale.

Resident Evil 4 è il miglior remake mai realizzato di un Resident Evil, e sicuramente uno dei migliori titoli del franchise ad oggi. Con una quantità di sbloccabili da far girare la testa, costumi, accessori e quest secondarie da portare avanti nel corso della trama, giocando a Resident Evil 4 avrete da fare per ore, ore ed ore. Personalmente lo consiglio senza riserve sia ai veterani della saga che ai nuovi arrivati. In entrambi i casi non rimarrete delusi. Resident Evil 4 è tornato.

Lunga vita al RE.

9.9

Voto assegnato da Zethras Gorgoth
Media utenti: 9.3 · Recensioni della critica: 9.1

Zethras Gorgoth

ha scritto una recensione su Code Vein

Cover Code Vein per PC

Il soulslike con le tette che manca il punto

C'è poco da fare, Dark Souls è stato uno dei titoli più influenti del medium videoludico negli ultimi vent'anni, e non credo sia qualcosa che si possa opinare: la prova, del resto, è sotto i nostri occhi, data dal fatto che la community internazionale ha coniato un termine per designare i titoli che si rifanno ai canoni stabiliti dal capolavoro FromSoftware (che ha sua volta ha ripreso quanto di buono fatto da Demons Souls, tre anni prima). Perché questo preambolo? Semplicemente perché Code Vein non è che l'ennesimo fra i titoli che vengono definiti "Soulslike". Un titolo che fonde il nucleo di gioco di Dark Souls con lo shonen più becero (in senso positivo) e col fan service tanto caro ai creatori di anime e manga. C'è davvero tutto: eccesso, momenti strappalacrime, antagonisti eccessivi nel loro essere malvagi, tette, waifu, tette.... ok, proseguiamo.

Partiamo immediatamente dai difetti, togliamoci questo dente. Uno dei punti cardine dei Soulslike è la loro difficoltà e, va detto, checché ne possa dire la fanbase questo titolo rispetta perfettamente questo canone. Perfino troppo in realtà. Spesso si ha la sensazione che il gioco sia stato reso artificialmente difficile per rendere il gioco una sfida che, diversamente, non avrebbe nemmeno avuto ragion d'essere. A partire dal fatto che ogni area ha pressappoco la propria "gimmick" che costringe il giocatore a subire debuff o perfino danni senza poterlo evitare in alcun modo, e continuando col fatto che nel gioco è presente una statistica denominata Equilibrio, nella teoria dallo stesso funzionamento di quella omonima di Dark Souls ma che, nella pratica, si rivela inutile. Il nostro avatar virtuale verrà sempre e comunque stordito da qualsiasi attacco, leggero o pesante che sia, mentre gli avversari non verranno sbilanciati da niente e saranno in grado di resistere impassibili a raffiche furiose di attacchi per poi punirci brutalmente, con output di danno del tutto fuori scala, spesso infliggendoci uno stunlock piuttosto crudele che, combinato col fatto che le cure impiegano due o tre secondi buoni per avere effetto, crea situazioni in cui la morte è una conseguenza non delle nostre azioni, ma della crudeltà eccessiva degli sviluppatori.

Questo aspetto lo si può ritrovare anche nell'enemy placement, portandoci spesso a subire attacchi da nemici posizionati accuratamente in modo da avere un colpo gratuito garantito ai nostri danni, e dalle hitbox degli attacchi nemici, che ci porteranno spesso e volentieri a subire attacchi anche dopo averli schivati (magari trovandoci alle spalle del nemico al termine della sua animazione). Non aiuta, poi, il fatto che ogni singolo boss, che già di per sé offrono una curva di difficoltà enormemente più aspra rispetto a quella delle aree che presiedono, abbia un attacco che in maniera quasi infallibile lo porterà a coprire la distanza fra noi e lui nel momento in cui cercheremo di curarci. Certo, il gioco ci offre la possibilità di avere un compagno di avventura per ammorbidire un po' questa curva di difficoltà, ma anche qui la cosa è bilanciata in maniera a dir poco imbecille, a causa della fragilità dei compagni stessi, che spesso e volentieri si ritrovano a dare un calcio al secchio nei momenti peggiori, lasciandoci in balia del boss.

Anche la varietà dei nemici non è delle migliori. Code Vein offre infatti una manciata di archetipi di creature, che andremo poi a ritrovare in varie aree con caratteristiche differenti. In maniera non dissimile, peraltro, a quanto avviene in un Final Fantasy, dove spesso le aree ripropongono le stesse creature reskinnate. Un riciclo di asset che, se per Final Fantasy funziona nel caso di Code Vein si rivela essere un difetto, perché questi nemici si finisce sempre per affrontarli nello stesso modo (un problema che, ad esempio, aveva anche Dark Souls 2, soprattutto nei dlc)

Laddove però Code Vein cade rovinosamente in termini di bilanciamento e struttura delle aree, poco ispirate e generalmente brevi, con un level design che prova a fare il verso a Dark Souls senza mai riuscirci davvero, ritrova invece la propria dignità in altri fattori di indiscutibile pregio. A cominciare dall'editor dei personaggi, che permette una creazione piuttosto precisa del nostro avatar virtuale, co una miriade di accessori, abbellimenti estetici e quant'altro, dandoci di fatto la possibilità di creare un vero e proprio personaggio anime con tutti i crismi, che non stonerebbe in una qualsiasi opera shonen moderna.

E' però nella varietà delle build che Code Vein tocca il proprio apice, e sebbene non sia possibile cambiare armatura al nostro personaggio, con l'unica opzione di equipaggiare un cosiddetto "velo di sangue" che fa le veci di uno scudo, esistono ben pochi limiti a quanto sia possibile creare in questo gioco. Ci vengono in aiuto in tal senso i cosiddetti codici del sangue, veri e propri archetipi di classi che potremo equipaggiare sfruttandone le abilità, oguno dei quali diversificato in modo da offrire un'ampia scelta al giocatore. Ogni codice di sangue metterà poi a nostra disposizione svariati doni, divisi fra passivi (che svolgono la stessa funzione degli anelli di Dark Souls) e attivi, che sono invece skill che spaziano da combo di attacchi, magie e abilità di buff o debuff degli avversari. Ognuno di questi doni è specifico del codice di sangue a cui appartiene, ma aumentandone la padronanza al livello massimo sarà possibile utilizzare i doni di un codice avendone equipaggiato un altro, aumentando così a dismisura la quantità di combinazioni e build possibili.

Quanto all'aspetto grafico non trovo nulla di cui lamentarmi, la grafica è piacevole e in pieno stile anime, sebbene soffra di evidenti quanto fastidiosi cali di frame più spesso di quanto sarebbe sopportabile, in particolar modo al caricamento di una nuova area. A causa dell'Unreal Engine 4, poi, i tempi di caricamento sono a dir poco biblici, e richiedono spesso attorno ai 20 secondi, rendendo il passaggio da un'area all'altra una seccatura più che altro.

Di assoluto pregio la colonna sonora e più in generale il comparto audio, che mette a disposizione tracce dall'indubbio impatto emotivo che sottolineano alla perfezione i momenti della trama, sebbene mi ritrovi a dover segnalare che c'è un riciclo delle sountrack per quanto riguarda i boss, che condividono spesso la stessa traccia.

Code Vein, in definitiva, è un titolo dall'enorme potenziale. Sicuramente si sarebbe potuto fare di più, e per quanto di buono sia stato fatto non si può rimanere impassibili di fronte a difetti che ienaffossano inesorabilmente la qualità, portando quello che aveva il potenziale per essere un capolavoro ad essere invece un titolo buono, godibile, ma che lascia un po' d'amaro in bocca, e che si salva dall'insufficienza per l'ambientazione e la storia avvincenti, la varietà delle build e per uno stile artistico che riesce a riprendere perfettamente lo stile anime.

7

Voto assegnato da Zethras Gorgoth
Media utenti: 7.6 · Recensioni della critica: 8.1

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