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Redout – Recensione

Il  mondo dell'intrattenimento videoludico è spietato: spesso basta citare alcuni grandi classici del passato allo scopo di illustrare gli obiettivi che un determinato progetto vuole raggiungere per attirare su di esso una serie di critiche, obiezioni e storture di naso a prescindere, come se alcuni capisaldi fossero talmente inavvicinabili da non dover essere neanche menzionati. Accade dunque che molti team, soprattutto indipendenti, inizino a sentire tutto il peso della pressione mediatica e della diffidenza degli appassionati più radicali e ciò li spinga a prendere decisioni frettolose nel tentativo di compiacere il pubblico, snaturando l'idea di base e dando paradossalmente ragione a quanti ritenevano esagerati i paragoni formulati in fase di presentazione. Ma ci sono anche altri che procedono ostinati per la loro strada, incuranti delle obiezioni degli scettici perché alimentati da un'estrema fiducia nel lavoro svolto e consci di non aver enunciato promesse a vuoto: è a quest'ultimo gruppo che appartengono gli italianissimi 34BigThings, autori del qui presente Redout che, fin dai tempi della presentazione presso lo stand della Epic all'Eurogamer Expo del 2014, non ha mai nascosto l'ambizione di voler colmare la lacuna lasciata dallo Studio Liverpool di Sony nel campo dei giochi di corse futuristici in stile WipeOut.



NON STAI ANDANDO ABBASTANZA VELOCE
Lo spirito minimalista di Redout si percepisce già a partire dalla schermata iniziale, proposta senza troppi fronzoli introduttivi: carriera, corsa veloce e online sono le tre modalità disponibili, oltre ad uno stringato cartello di riconoscimenti ed ai settaggi interni per gameplay, sonoro e grafica dai quali, curiosamente, per ora manca la possibilità di calibrare la risoluzione dello schermo (modificabile tramite file di configurazione, ma è plausibile attendersi un'opzione appropriata con i futuri aggiornamenti). La carriera, com'è lecito aspettarsi, è il piatto forte del titolo nonché il tramite per guadagnare l'esperienza ed i contanti necessari per sbloccare navicelle migliori: oltre ad uno chassis differente, le vetture di Redout sono caratterizzate da sei caratteristiche distinte che spaziano da velocità e aderenza fino alla riserva di energia e alla solerzia con cui la stessa si riempie. Per quanto gli attributi strutturali siano infatti imprescindibili per mantenere un buon controllo in pista, è opportuno tenere d'occhio anche gli indicatori di salute ed energia durante la gara, il primo legato all'integrità del nostro sguscio, che diminuisce in conseguenza degli urti contro le pareti, il tracciato o gli avversari, mentre il ruolo del secondo è scandire la frequenza di utilizzo dei potenziamenti. Entrambi si ricaricano con il tempo, ma una serie consecutiva di collisioni o un impiego sfrenato dei power up possono segnare la differenza tra un trionfo e l'ultimo posto in classifica. A tal proposito, Redout prende le distanze dai suoi analoghi proponendo una variante nella gestione dei vantaggi accessori di cui possiamo usufruire: non più bonus occasionali da raccogliere lungo il tragitto, ma una coppia di slot appositi da personalizzare prima di ogni competizione, uno che richiede l'intervento diretto del giocatore per l'attivazione ed un altro del quale beneficiamo in automatico, entrambi a loro volta migliorabili a piacimento. Subito dopo aver impugnato la cloche (o quale che sia il suo sistema di controllo, dato che al momento non è ancora stata inserita una visuale dall'abitacolo), la differenza con un qualsiasi altro gioco di guida (come pure la citazione di Guerre Stellari, in particolare al Racer di Episodio I) appare lampante: il bolide è leggero e quasi privo di inerzia, tanto che oltre alla classica sterzata è possibile governare anche il beccheggio e gli spostamenti laterali, o strafe.



Il modello di guida ispirato ai droni costituisce una parte essenziale del gameplay
Gli sviluppatori si sono esplicitamente ispirati al modello di guida dei droni quadrirotori e l'hanno integrato nel titolo in maniera funzionale ed intrigante considerato che, una volta approfondita la conoscenza di tale meccanica, il giocatore diviene in grado di affrontare la stragrande maggioranza di tornanti e chicane senza nemmeno sfiorare il tasto dei freni. Si tratta di una peculiarità rilevante sulla base della quale è stato costruito ogni tracciato, affinché i più esperti possano far fronte ad ogni avversità proprio grazie al fatto che stanno manovrando un mezzo staccato dallo stesso, e che costituisce perciò una parte essenziale del gameplay anziché limitarsi ad essere un semplice fattore estetico. Onde avvicinarsi a qualunque tipologia di utenza, si può comunque ripiegare su diversi schemi preimpostati che si adattano alle capacità di ciascuno, qualora quello di default risulti troppo ostico da padroneggiare. Sarò sincero, il mestiere di pilota è lungo e pieno di ostacoli in Redout, poiché avremo il nostro bel daffare per soddisfare le esigenze degli sponsor e raggranellare un numero di crediti sufficienti per migliorare il trabiccolo sul quale rischiamo la vita, acquistarne uno nuovo o passare di categoria: sto parlando di qualcosa come più di 70 gran premi e una ventina di navicelle differenti, con molteplici obiettivi da conquistare per ottenere ricompense aggiuntive e facilitarsi parzialmente il lavoro. Se poi ci viene voglia di prendere una pausa, possiamo rivolgerci alle ulteriori alternative per giocatore singolo che permettono di gareggiare sotto determinate circostanze, come la tradizionale sfida a tempo dove bisogna battere ogni volta il miglior cronometro registrato, oppure quella a eliminazione in cui l'ultimo concorrente di ogni giro viene eliminato finché non ne restano solanto due per il rush finale, fino ad arrivare alla cosiddetta modalità Boss che ci scaraventa a velocità folle su un lungo patchwork formato da segmenti di tutti i tracciati collegati fra loro da repentini e, per certi versi, confusionari teletrasporti. Le variabili incentivano molteplici stili di guida e sono le medesime che ritroviamo anche nella porzione online, mediante la quale potremo confrontarci con altri undici avversari in carne ed ossa. Piccolo appunto per l'impossibilità di misurarsi con un amico sul medesimo PC in split screen, ma anche questa dovrebbe essere una delle feature che verranno incluse da qui a breve.



Redout sfoggia una grafica a bassa densità poligonale, scelta volutamente artistica per richiamare alla memoria il pluricitato WipeOut sulla prima PlayStation, al quale i 34BigThings hanno deciso di rifarsi. I circuiti si snodano lungo quattro ambientazioni diverse collocate in altrettanti punti strategici di una Terra maestosa e selvaggia, in cui la natura ha ripreso possesso di molte delle opere costruite dall'uomo, ciascuna definita da un certo tipo di clima e di fenomeni atmosferici: l'assolata Cairo con le sue vaste distese desertiche e le tempeste di sabbia; la gelida Alaska che nasconde curve al fulmicotone dietro il suo paesaggio lunare; la familiare Abruzzo, divisa fra pareti di roccia dissestate ed una florida costa; per finire, l'arroventata Volcano, che alterna scorci marittimi ad impressionanti discese sotto la crosta terrestre. Le scelte cromatiche difformi si sposano alla perfezione con la gamma di effeti speciali adoperata per rendere visivamente le folli velocità raggiunte dalle navicelle, come la deformazione cinetica dei fondali e i sobbalzi dello schermo, tutti gestiti con estrema disinvoltura dalla quarta versione dell'Unreal Engine che, pure su macchine meno potenti ma comunque in linea con i requisiti minimi richiesti, riesce a regalare tutta l'emozione e la frenesia di queste gare futuristiche con qualche debito compromesso. Ad incorniciare il tutto c'è un'ottima colonna sonora elettronica firmata da Aram Shahbazians e Nils Iver Holtar, anch'essa legata alla scenografia delle piste, che spazia dai ritmi incalzanti del Cairo alle sfumature più morbide ed ai campionamenti vocali che accompagnano le gare in Alaska. Da segnalare la mancanza di un tutorial vero e proprio che aiuti ad apprendere le basi, passaggio forse necessario a causa dell'estrema atipicità del sistema di controllo di Redout e dell'estrema competitività dell'intelligenza artificiale, che non perdona nemmeno gli errori di valutazione più insignificanti: il giocatore è di conseguenza obbligato a maturare esperienza attraverso le competizioni vere e proprie, le quali tuttavia elargiscono ricompense limitate anche in caso di performance fallimentari, alimentando così la voglia di progredire anziché stroncarla con muri invalicabili. Bisogna soltanto stringere i denti, soprattutto nelle fasi iniziali, perché le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare.



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8 settembre 2016 alle 15:51