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Rain World - recensione

Cercando di stilare una sorta di classifica delle mode più evidenti dell'attuale industria videoludica ai primi posti non possiamo non citare la voglia di difficoltà, di esperienze complesse, spietate e difficili da padroneggiare. Se tra i tripla A l'esempio più lampante è indubbiamente quello dei Souls e dei vari "cloni" più o meno spudorati, gli indie non hanno mai abbandonato sul serio la voglia di difficoltà, di quel sentimento di appagamento che cresce dopo ogni successo, dopo essere riusciti ad andare al di là dell'ennesima sfida apparentemente insormontabile.



Una sfida insormontabile che in questo caso, come ormai da tradizione per tantissimi giochi indipendenti, parte direttamente da Kickstarter e da una campagna iniziata nel 2014. Rain World (ai tempi Project Rain World) è diventato realtà grazie al lavoro degli americani di Videocult e di circa 3.000 fan che hanno deciso di sostenere il progetto con ben $63.000 a fronte di una richiesta iniziale di $25.000.



Dopo circa tre anni di intenso sviluppo e di miglioramenti sottolineati da accessi anticipati e diversi contenuti condivisi con la community, è finalmente arrivato il momento di rispondere a una domanda quanto mai ossessionante: cosa diavolo è una gattocertola?

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29 marzo 2017 alle 12:30