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Just Cause 3 - recensione

Just Cause ha in comune con Saints Row diversi elementi. Sono entrambe serie che agli albori sono state messe a confronto con Grand Theft Auto. Entrambe, però, ne sono uscite con le ossa rotte, ma hanno presto saputo trovare la loro ragione d'essere nel non prendersi sul serio, varcando quella sottile soglia che divide un "normale" videogame dall'essere un parco giochi fatto eccessi e follie.
Il prodotto dei Volition ha seguito la strada dell'umorismo spinto e volgare, quello di Avalanche Studios dell'action game più sfrenato, dove esplosioni e acrobazie sono all'ordine del giorno.



Per questo terzo capitolo lo sviluppatore di Mad Max ha scelto di utilizzare la prima legge di CliffyB per lo sviluppo di un seguito, che recita così: "bigger, better and more badass". Dietro queste tre parole si nasconde il lavoro svolto da Avalanche, ovvero il cercare di potenziare e ingigantire tutto quello che Rico Rodriguez, questo il nome del protagonista, ha fatto in passato. Con quindi quintali di esplosioni, solo ancora più grosse e fragorose che in passato.



Questo processo è avvenuto attraverso la creazione di un enorme parco giochi dal nome di Medici, un arcipelago di isole dalla chiara ispirazione mediterranea (o meglio italiana) governate con il pugno di ferro da un dittatore di nome Di Ravello, un generale che dovrebbe somigliare a Stalin ma che ci ha ricordato più Peppone, il leggendario antagonista di Don Camillo.

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1 dicembre 2015 alle 01:10