Tom Clancy's The Division - prova
"Online, open world, RPG". "Online, open world, RPG". "Online, open world, RPG". Nel mio viaggio di ritorno in aereo, ho più volte riflettuto su questi tre concetti. Che non sono solo il claim col quale Ubisoft ha voluto riassumere l'essenza di Tom Clancy's The Division, ma un mantra da ripetere mentalmente più e più volte, per carpire meglio l'essenza del gioco e comprenderne i pregi e gli speculari difetti.
Cominciamo dall'inizio: The Division è uno dei titoli più attesi di questo 2016 appena iniziato, senz'altro il più atteso della line-up dell'editore transalpino. Che stando ai pare, ai si dice, ai si mormora, quest'anno potrebbe anche saltare l'appuntamento autunnale con Assassin's Creed. I motivi di tanto hype sono presto detti: è una nuova IP e l'annuncio all'E3 del 2013 era stato dirompente. Ma altrettanto dirompenti sono state le polemiche successive al presunto abbassamento della qualità grafica dopo l'affaire Unity, che ha portato Ubisoft a un vero e proprio cambio di rotta. Sono allora in molti coloro che aspettano questo titolo per poterlo giocare; altrettanti, se non di più, coloro che lo attendono al varco per poterlo demolire. In primis i numerosi detrattori di Ubilol, Rubisoft, e chi più ne ha, più ne metta.
E poi c'è il sottoscritto, orfano di un Destiny collassato sotto il proprio peso del proprio successo, e di una gilda di amici che verso l'MMO di Bungie continua a dimostrare un commovente accanimento terapeutico. E che quando gli viene detto che The Division è un Destiny in terza persona, sale sul primo aereo per Malmö, in Svezia, e non va a Rosengård ad accendere un cero sotto la casa di Ibrahimovic (inaudito!), bensì a mettere le mani sul primo pad disponibile.
