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Homefront: The Revolution – Recensione

Il travagliato corso degli eventi del nuovo capitolo di Homefront, che alla sua seconda iterazione si presenta di già come un reboot slegato dall'originale del 2011, dovrebbe essere ormai noto a quanti hanno seguito negli anni le vicissitudini finanziarie di Crytek e THQ: il primo episodio, sviluppato dagli ormai defunti Kaos Studios, ricevette una tiepida accoglienza da parte di critica e pubblico e venne considerato il principio della crisi che, di lì a poco, avrebbe provocato il tracollo della seconda, con la prima che si fece avanti con poco più di mezzo milione di dollari per acquisire la proprietà intellettuale del gioco. Dopo un lungo periodo sotto silenzio, nel 2014 la casa tedesca annunciò la produzione di un nuovo capitolo affidato alla loro divisione britannica, la Crytek UK, composta perlopiù da ex componenti di Free Radical Design i quali, a inizio millennio, conquistarono gli onori della cronaca grazie al loro TimeSplitters, una serie di sparatutto in prima persona celebre per lo stile peculiare e l'umorismo dissacrante di cui sono infarciti i vari episodi e considerata a tutt'oggi un autentico classico di nicchia. Fu solo dopo la partnership con Deep Silver e la cessione del marchio a Koch Media, detentrice della succitata etichetta, che il titolo sembrò trovare un tanto agognato spiraglio di luce: affidato alle cure dei Dambuster Studios, un team nuovo di zecca nato dalle ceneri di Crytek UK e, dunque, formato da quanti avevano seguito il progetto fino a quel momento, Homefront 2 ha azzardato la sua scommessa più grande trasformandosi radicalmente da avventura lineare infarcita di sequenze scriptate a genuino open world in cui il giocatore è libero di approcciare le missioni come meglio crede, e con un multiplayer improntato sull'aspetto colloaborativo piuttosto che sulla competizione. Una scelta azzardata, certo in linea con i canoni moderni che hanno visto il ritorno in auge degli FPS meno uniformi e con forti componenti narrative, ma che ha richiesto di contro la totale cancellazione di oltre due anni di lavoro e la riscrittura del prodotto a partire dalle fondamenta. Per queste ragioni il sottotitolo scelto, The Revolution, che è andato a rimpiazzare un numerale tutto sommato anonimo, non rappresenta solo il tema portante alla base della storia ma anche lo spirito che ha permeato l'intero processo creativo.



LA RIVOLUZIONE SI ACCENDERA'
Le premesse di questo nuovo Homefront sono superficialmente simili a quelle del suo predecessore: gli Stati Uniti sono stati invasi dalle forze di occupazione nord coreane ma stavolta, anziché essere spinta dalla semplice ideologia comunista e da un imprevisto quanto spropositato benessere economico, le mire espansionistiche della Repubblica Popolare Democratica sono supportate dalla multinazionale APEX Corporation che fa capo al suo novello premier, John Tae-se, responsabile di una serie di innovazioni tecnologiche in ogni campo, dall'elettronica di consumo all'industria bellica, che hanno spinto gran parte dei governi mondiali ad indebitarsi pur di restare al passo con il resto del pianeta, in barba ai più elementari principi del controllo valutario. Quando gli USA, reduci da una disastrosa campagna in Medio Oriente, decidono di non ritirare le proprie truppe dai paesi coinvolti nella guerra al terrorismo e, anzi, di rafforzare gli investimenti militari caricandosi ulteriormente di debiti nei confronti della APEX, quest'ultima disinnesca in contemporanea tutte le armi e l'attrezzatura digitale in dotazione al loro esercito, equipaggiate in segreto con speciali chip di controllo, rendendolo del tutto inoffensivo. A questo punto ha inizio un progressivo insediamento dei Norcs, così come vengono chiamati in maniera dispregiativa i soldati dell'Armata Popolare Coreana, che ha come fine dichiarato il recupero della stabilità finanziaria dell'America del Nord in modo che possa far fronte al gravissimo deficit. Con il tempo, tuttavia, i coreani abusano del potere di cui dispongono e soggiogano senza mezzi termini i territori occupati, rendendo la popolazione schiava in casa propria e contribuendo alla nascita spontanea di un movimento rivoltoso. Il video introduttivo della campagna single player è confezionato con una miscela retrò di CG e attori in carne ed ossa, e svolge alla perfezione il compito di rendere credibile il preambolo piuttosto surreale delle vicende.



La formula utilizzata appare tanto derivativa quanto funzionale e ben implementata
The Revolution si apre in medias res con il giocatore nei panni di Ethan Brady, un giovane membro della Resistenza appena arrivato in una Filadelfia pesantemente oppressa e militarizzata dopo quattro anni di dominazione da parte della Corea. Scampato alla cattura per un soffio e ad un destino forse anche peggiore per mano degli stessi rivoluzionari, che nutrono ragionevoli sospetti nei confronti dei personaggi di videogiochi troppo curiosi e poco loquaci, Brady sperimenta un assaggio della disperazione che serpeggia lungo le strade della cittadina della Pennsylvania e viene iniziato alle tattiche di guerriglia urbana che i sovversivi impiegano contro i militari per ovviare all'incalcolabile divario numerico e tecnologico, ed a questo punto chiunque abbia giocato ad alcuni dei titoli non indipendenti più noti degli ultimi anni avrà sicuramente riconosciuto numerose “citazioni”: dai punti strategici da conquistare che aprono porzioni supplementari di mappa come in Assassin's Creed, alla necessità di rovistare tra mobilio e rifiuti per recuperare oggetti preziosi da vendere o utilizzare per la modifica delle armi che richiama alla mente Fallout, passando per riferimenti un po' meno riconoscibili quali i codici cromatici che suggeriscono l'accesso ai rifugi della Resistenza e che stendono una nota di colore in un mondo altresì buio e grigio come accadeva con le indicazioni di Mirror's Edge, tutto nel gioco richiama in misura diversa altri franchise AAA meglio noti al grande pubblico, ma l'ascendente più riconoscibile è senza dubbio quello di Far Cry dal quale estrapola la tipologia degli obiettivi, la capacità di marcare i nemici tramite fotocamera e persino parte dell'interfaccia grafica. Ciononostante, per quanto familiare possa apparire l'amalgama di stili adottata dai Dambuster Studios, la riproduzione del sogno americano trasformatosi in un incubo ad occhi aperti ha un peso specifico notevole e riesce a coinvolgere in maniera davvero inaspettata, soprattutto considerando la genesi del titolo ed il riscontro assai poco favorevole che la stampa aveva riservato ai primi scampoli di gameplay rivelati nei mesi precedenti all'uscita. Una volta inserita in un contesto esteso quanto l'area metropolitana di Filadelfia, invece, la formula utilizzata appare tanto derivativa quanto funzionale e ben implementata: la natura modulare e primitiva dell'equipaggiamento a disposizione, spesso costituito da brandelli di oggetti diversi tenuti assieme da un sistema di crafting soddisfacente, è al contempo fantasiosa e verosimile considerata l'impossibilità di recuperare attrezzatura dai nemici abbattuti perché quest'ultima è provvista di sensori biometrici che la rendono inutilizzabile; le rovine della Zona Rossa, la più pericolosa e sorvegliata delle tre aree concentriche in cui è stata divisa la città, sono un territorio perfetto per tendere imboscate mordi e fuggi oppure intaccare il predominio avversario disattivando una telecamera dopo l'altra prima di scomparire fra le viscere di quello che sembra l'epicentro di un bombardamento atomico; la Zona Gialla, altamente popolata, è il luogo in cui metteremo in pratica le finalità propagandistiche della Resistenza e, attraverso un certo numero di missioni secondarie che richiedono il sabotaggio delle postazioni controllate dai Norcs, risveglieremo lo spirito sovversivo della popolazione e la spingeremo a ribellarsi in prima persona contro gli occupanti, con effetti visibili in varie parti della capitale. Il cielo plumbeo, i palazzi ridotti ad un guscio vuoto di quel che erano un tempo, l'atmosfera irrespirabile di polvere e detriti che assume connotazioni quasi tangibili e il contrasto freddo dei neon e delle luci utilizzate dall'esercito avversario ricostruiscono alla perfezione un futuro prossimo che sembra uscito direttamente dalla fantasia di John Cameron e dei suoi primi due Terminator, con tanto di leader della fazione ribelle assurto quasi a figura messianica e tenuto prigioniero dagli usurpatori.



Certo, qualunque sia la natura delle meccaniche ludiche o delle ambientazioni riprodotte, nessun gioco potrebbe mai fare breccia nell'immaginario collettivo se non offrisse un gameplay solido, omogeneo e, più di ogni altra cosa, divertente. Tolti tutti gli elementi di contorno, Homefront: The Revolution resta uno sparatutto in prima persona abbastanza convenzionale, con un modello fisico efficiente ma non certo prodigioso che a volte non riesce a restituire la giusta percezione di intensità che dovrebbe derivare dai conflitti a fuoco, ed in questo senso offre ampi margini di ottimizzazione. Di contro, non possiamo separare completamente i presupposti del titolo dalla sua struttura principale: Brady e la Resistenza sono determinati ma in sostanziale svantaggio numerico e provvisti di un armamentario di fortuna, con munizioni contate fino all'ultima, che nella maggior parte dei casi non consentono loro un assalto frontale contro i coscritti dell'APC. I combattimenti che si protraggono troppo o gli assalti a fucili spianati non sono la soluzione ideale, almeno all'inizio, dunque la prospettiva risulta più efficace se la adoperiamo per studiare al meglio percorsi di approccio e vie di fuga, collocazione di eventuali elementi di disturbo o di pattuglie da cogliere alla sprovvista. Le zone di cui abbiamo parlato poc'anzi servono anche a suddividere in modo pratico le tattiche richieste per navigarle: la Rossa è quella in cui si concentrano maggiormente gli scontri con l'esercito ed emergono le occasionali magagne del sistema di combattimento; nella Gialla avremo un margine di manovra molto più ampio e potremo sfruttare un gran numero di macchinazioni secondarie per avere ragione dei Norcs; la Verde, infine, ospita gli edifici principali dei gerarchi coreani ed è dove si svolgeranno la maggior parte delle missioni legate alla storia. Per navigare fra i confini potremo spostarci a piedi attraversando strade e tunnel clandestini, mediante l'utilizzo di saltuarie teleferiche collocate sui tetti di alcuni palazzi oppure grazie alla presenza strategica di un buon numero di casse contenenti provviste di vario tipo e, soprattutto, una veloce ma poco maneggevole moto da cross con la quale sfrecciare rapidamente fra le strade ed imboccare salti che ci faranno risparmiare tempo prezioso, sebbene il suo utilizzo espone in particolar modo l'incauto Brady alla controffensiva nemica.



Di contro, non possiamo separare completamente i presupposti del titolo dalla sua struttura principale
Trascorsa qualche ora nel tentativo di capovolgere le condizioni disperate in cui versa Filadelfia, e con ogni probabilità anche gli altri nuclei abitati di grandi dimensioni del territorio nord americano, inizia ad affiorare un altro aspetto di The Revolution che avrebbe meritato un disegno più complesso e variegato: le missioni richieste per spingere il popolo a ribellarsi contro gli oppressori sono infatti sempre le stesse, riconducibili all'infiltrazione in luoghi protetti per tagliare gli approvvigionamenti elettrici, alla liberazione di un numero variabile di ostaggi, all'assassinio di un ufficiale e alla salvaguardia di un particolare civile. Ben presto, la partecipazione alla causa per l'indipendenza degli Stati Uniti sfuma in una serie di compiti ripetitivi che sembrano propri di un qualsiasi gioco di ruolo online, alimentati più dalla compulsione di voler riempire tutti gli indicatori di insubordinazione della cittadinanza che da un reale interesse per la trama. Non posso negare che la cosa abbia un certo fascino di per sé, e resta comunque divertente approfittarsi di un'automobilina radiocomandata e imbottita di esplosivo per far saltare in aria un convoglio corazzato oppure distrarre le guardie con stratagemmi bizzarri per introdursi nelle strutture sorvegliate, ma alla lunga avrei preferito maggiore eterogeneità nel tipo di compiti richiesti dal gioco per rincorrere i miei ideali rivoluzionari. L'intelligenza artificiale degli avversari inoltre, se tale può definirsi, li spinge spesso a gesti inconsulti, traiettorie scoordinate nel tentativo di inseguirci e, in generale, ad un comportamento che li rende letali soltanto se affrontati in condizioni di estrema inferiorità numerica o qualora siano stati collocati in una posizione di vantaggio rispetto a noi. In effetti, disinnescare da remoto le armi degli antagonisti è proprio l'unico modo che avrebbero avuto per vincere una vera guerra. Altra pecca, forse la più grave finora registrata, è l'estrema incongruenza delle prestazioni del motore grafico, lo stesso CryEngine di quarta generazione che abbiamo già visto implementato in titoli come Everybody's Gone to the Rapture, Ryse e Star Citizen: a fronte di una resa grafica degna di nota, il reboot di Homefront richiede una macchina decisamente spropositata per girare al pieno delle proprie potenzialità, dato che nemmeno la GPU consigliata dagli sviluppatori, la GeForce GTX 760, è in grado di mantenere un framerate costante al massimo del livello di dettaglio nelle situazioni più concitate, e richiede diverso tempo da spendere fra le opzioni disponibili per configurare un output accettabile. Le versioni per console, anche se sfoggiano un comparto grafico meno appariscente, soffrono comunque di cali prestazionali evidenti. I Dambuster hanno comunque assicurato il rilascio di una patch al day one che dovrebbe risolvere i problemi di ottimizzazione, e garantito un supporto continuativo nei mesi a venire qualora dovessero manifestarsi ulteriori problemi, oltre ad essere già al lavoro su una serie di contenuti addizionali da pubblicare nell'arco temporale di almeno un anno che potrebbero espandere l'orizzonte narrativo dell'avventura. Arricchisce il tutto un adattamento italiano completo in ogni suo aspetto, dai sottotitoli ai dialoghi, di eccellente qualità.



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17 maggio 2016 alle 09:00