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Homefront: The Revolution- recensione

Fa sempre piacere giocare un titolo che non avrebbe mai dovuto arrivare sugli scaffali come Homefront: The Revolution. Si tratta infatti di una delle poche proprietà intellettuali a sopravvivere al fallimento di THQ, venduta all'asta per poi essere acquisita da Crytek e Deep Silver con l'intenzione di farne uno sparatutto a struttura aperta. Dopo anni di sviluppo ripartito praticamente da zero, appoggiandosi al team esterno inglese di Dambuster Studios che s'è avvalso del Cryengine, l'azienda tedesca ci propone il seguito di un primo capitolo interessante in quanto a trama, ma limitato nel singleplayer e pessimo in multiplayer.



Homefront: The Revolution fa indubbiamente tesoro degli errori compiuti da Kaos Studios in passato: sfrutta molto abilmente l'ambientazione distopica di una Nord Corea come superpotenza tecnologica e militare che invade gli Stati Uniti per assoggettarli al suo completo controllo dopo un devastante tracollo economico. Tenere a bada duecento e passa milioni di individui in una nazione piuttosto sanguigna e poco incline ad alzare bandiera bianca non dev'essere facile, ed ecco servita un'ambientazione perfetta per un simulatore di ribellione dalle caratteristiche tecniche e di gameplay ben definite.



In questo secondo capitolo vestiamo infatti i panni di un membro della resistenza alle prese con quella che presto si rivela essere la riconquista della città di Philadelphia. Dove prima avevamo uno sparatutto in prima persona lineare e privo del concetto di esplorazione, ora ci troviamo di fronte a un titolo open world in cui la progressione del gioco si basa sulla conquista metodica del territorio.

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17 maggio 2016 alle 09:10