Dark Souls 3: The Ringed City - prova
Come probabilmente la stragrande maggioranza di voi, nutro nei confronti dei Souls un rapporto viscerale di amore e di odio. Ciò che mi lega all'operato di Hidetaka Miyazaki non è una relazione amorosa serena, bensì una di quelle litigarelle che, dicono, rendono l'amore bello. E quindi a fasi di grande innamoramento se ne alternano altre di rabbia, di rancore, col gioco che s'installa e si disinstalla dal mio hard disk a seconda della frustrazione accumulata.
Con Dark Souls 3, però, è successo qualcosa di più grave di qualsiasi idillio tormentato, di qualsiasi crisi cui segua una riappacificazione: è sopraggiunta inaspettata l'indifferenza, che mi ha portato a lasciare il gioco a metà. Perché il mood dei mondi di Miyazaki è sempre lo stesso, perché ormai mi basta guardare un boss per capire come muovermi e dove posizionarmi. Beninteso, alle volte mi sbaglio e muoio istantaneamente, ma spesse volte c'azzecco.
Anche anche sebbene la trama lo giustifichi, ritrovarmi nel terzo capitolo gli stessi mob del primo, anche no. E poi, alla fine, le meccaniche sono sempre le stesse, al netto delle marginali modifiche introdotte ogni volta. Ed è riflettendo che avrei preferito giocare Bloodborne 2 piuttosto che la seconda espansione di Dark Souls 3, che mi sono approcciato alla prova di The Ringed City, secondo e ultimo DLC.
