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The Evil Within 2 – Recensione

“Gli uomini non sono prigionieri dei loro destini, ma sono solo prigionieri delle loro menti”.
Franklin Delano Roosevelt



Gli appassionati di survival horror di vecchia data sono sempre alla ricerca di prodotti stimolanti che non puntino tutto sull'azione. Ecco perché, al momento della sua uscita, The Evil Within fu accolto come la manna dal cielo, visto anche il nome illustre dietro al progetto, ossia Shinji Mikami. A distanza di tre anni esatti Tango Gameworks prova nuovamente a terrorizzarci con il secondo capitolo della saga.



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Cocci di vetro e bottiglie vuote



Sembrava fosse tutto finito con le conseguenze sperimentate dalla detective Kidman dopo i terrificanti eventi del Beacon Mental Hospital, luogo delle disavventure del primo capitolo della saga, ma per Sebastian Castellanos le brutte sorprese non finiscono mai.



Il nostro eroe infatti, impegnato ad affogare nell'alcool i dolorosi ricordi del suo nefasto passato, si ritroverà a dover fare i conti proprio con la bella Juli Kidman che si presenterà a lui con una rivelazione sconvolgente: sua figlia Lily è viva.



Superato lo choc iniziale (aiutato da una massiccia dose di tranquillante), Sebastian verrà aggiornato sulla situazione. La figlia, considerata un essere puro, è stata imprigionata all'interno di un nuovo STEM in cui però qualcosa è andato storto. Starà quindi al nostro detective tornare a navigare nei suoi incubi per salvare la Mobius, Lily e probabilmente anche se stesso.



Questo, senza troppo entrare nei particolari, il breve incipit di The Evil Within 2 che gioca molto sugli eventi del primo capitolo senza in realtà fornire eccessivi dettagli. Se sarete dei neofiti della saga infatti alcuni concetti potrebbero lasciarvi spaesati o risultare poco chiari – in questo caso vi rimandiamo al recap sulla trama del primo capitolo. Non temete però, perché man mano che proseguirete con la storia i concetti verranno meglio delineati.



Ricollegati all'infernale macchina che permette a svariate menti di rimanere connesse in un mondo fittizio, la città di Union in questo caso, saremo pronti a tuffarci nell'orrore di questo survival horror.





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Benvenuti a Union



Se avete già completato la precedente avventura di Tango Gameworks avrete familiarità con molte delle cose che vedrete in The Evil Within 2: la visuale in terza persona con telecamera “sulla spalla” del protagonista è ormai un marchio di fabbrica della serie e permetterà di godere al meglio di tutti gli orrori che il titolo ha da offrire, ad esempio.



Nonostante un forte legame con il suo passato, però, il gioco vanta un'assenza illustre, ossia il nome altisonante di Mikami, che è stato sicuramente una delle leve di vendita più forti del primo capitolo. Questa mancanza non ha assolutamente intaccato la qualità del prodotto.



Come accennato nell'introduzione gli eventi di gioco prendono vita a Union, città creata dallo STEM che verrà divisa in quartieri e, oltre alle missioni principali, offrirà al giocatore la possibilità di esplorare case e strutture alla ricerca di risorse e segreti.



Quello che colpisce fin da subito del lavoro del team è la presenza di un open-world che in realtà tanto aperto non è. La suddivisione dello spazio in quartieri nettamente separati tra loro genera delle aree che lasciano una sensazione di “libertà ma non troppo”, fattore che evita eccessiva dispersione con conseguenti cali di tensione. Proprio la tensione è uno degli elementi che gioca un ruolo fondamentale (e non poteva essere altrimenti), e ancora una volta riesce a farci letteralmente gelare il sangue nelle vene.



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30 ottobre 2017 alle 16:50

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