Shadow of the Colossus
“All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro?”
U. Foscolo, Dei sepolcri
Solo quelli che sono abbastanza folli da credere di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero. E ci piacerebbe poter dire oggi, a tredici anni dal primo day one di Shadow of the Colossus, che Fumito Ueda abbia davvero cambiato il mondo con le sue idee. Team Ico però (purtroppo) è uno dei troppi esempi di visionari che non sono riusciti a lasciare il segno, perché, a differenza dei primi della classe – quelli che hanno davvero fatto la rivoluzione; gli Steve Jobs, per capirci –, non sono riusciti a farsi capire dal pubblico, a rendere la rivoluzione un prodotto di massa.
Quello che possiamo dire è che Shadow of the Colossus, però, ha cambiato la visione del medium di chi sta scrivendo questo articolo, riempiendo l'abusata espressione “Anche i videogiochi sono arte” con un vero, tangibile e inequivocabile esempio.
Inevitabile, quindi, maneggiare questo remake annata-2018 con attenzione, perché, diciamocelo, le minestre riscaldate si portano inevitabilmente dietro una certa dose di scetticismo. Continuando con il parallelo con Apple, non è da tutti tornare nell'azienda che ti ha ripudiato e tirar fuori un dispositivo che sconvolge lo status quo come l'iPod: è più facile che in questi casi il risultato abbia più i connotati dello Zune di Microsoft, un'imitazione che, per quanto possa essere buona e libera, non ha lo stesso fascino dell'originale.
Ebbene, è arrivato il momento di rispondere alla domanda.
