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Secret of Mana - recensione

Viviamo in un'epoca videoludica che forse è la più arida di sempre dal punto di vista di idee e novità. Se da un lato è sfrenata la corsa al numero di pixel e alla fedeltà grafica tridimensionale, negli ultimi anni c'è stato sia un nostalgico e irresistibile ritorno al 2D con l'ascesa degli indie, che una golosa riproposizione di vecchi e gloriosi titoli delle generazioni precedenti tramite remaster e remake.



Square-Enix sta praticamente riproponendo tutto il suo catalogo di jRPG dell'era 8-bit e 16-bit su PC e console moderne, con un occhio di riguardo per la serie Final Fantasy, ma non solo. Tanto per fare un paio di esempi, abbiamo infatti recentemente ricevuto sulle piattaforme moderne un porting enhanced di Romancing SaGa 2, titolo peraltro mai uscito in occidente prima della nuova release, ed il remake di Adventures of Mana.



Per la nuova versione di Secret of Mana, Square Enix ha scelto la via del remake piuttosto che quella del porting enhanced: questo approccio è sì più allettante, ma anche più rischioso. Un remake infatti ha il compito di svecchiare, aggiornandolo alle tendenze moderne del genere senza però andare a intaccare lo spirito ed il feeling del gioco originale, e non è sempre impresa facile. Abbiamo visto recentemente come i Bluepoint siano riusciti splendidamente nell'impresa con il remake di Shadow of the Colossus, ma quando si tratta di trasformare un gioco bidimensionale con sprite, a un look tridimensionale passando ai poligoni, nell'equazione s'inseriscono diversi fattori di rischio.

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9 aprile 2018 alle 10:40