God of War - recensione
Le fiamme della Furia di Sparta avvolgono i pugni di Kratos, scaldano la neve e dissolvono la coltre di nebbia rivelando un cielo azzurro punteggiato di corvi. Siamo di nuovo qui, al centro del Lago dei Nove con Atreus al nostro fianco, dopo aver messo sottosopra i regni degli dèi norreni, sconvolgendone la morfologia e annientandone gli abitanti. In lontananza echeggia il ruggito di un drago, mentre la prima neve dell'inverno cade delicatamente sul tempio di Tyr.
Atreus interrompe i nostri pensieri: "Sono felice di aver aiutato gli spiriti, mamma avrebbe fatto lo stesso". E Kratos: "Il nostro unico obiettivo è il viaggio. Se aiutiamo gli altri è solo per diventare più forti lungo il cammino". Il Fantasma di Sparta è invecchiato ma non ha perso smalto. Il fardello degli orrori che ha cercato di nascondere al ragazzo è diventato un fuoco che alimenta la sua furia combattiva.
Da quanto tempo siamo in viaggio? Non lo sappiamo. Ci siamo persi, ci siamo fatti assorbire da Midgard e da ogni dimensione che lo circonda, scalando monti e navigando verso sponde sconosciute, razziando templi e distruggendo gli idoli di una mitologia in crisi. Oramai conosciamo bene queste terre, ci muoviamo senza difficoltà in un mondo che si posiziona sui gradini più alti del world design videoludico.
