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Just Cause 4 – Recensione

In una tranquilla serata davanti al televisore potreste trovarvi a dover scegliere tra un film drammatico e strappalacrime, un colossal dal budget multimilionario e dal cast stellare e l'ultimo action all'americana con Jason Statham o Dwayne Johnson. L'equivalente videoludico di una simile, variegata offerta potrebbe vedere sul piatto un Life is Strange, un Red Dead Redemption 2 e… beh, inutile dire che il pensiero andrebbe a Just Cause. La serie di Avalanche Studios con protagonista Rico Rodriguez si è ritagliata un posto nella storia dei videogiochi proprio per l'esagerazione, l'azione e il gusto per la distruzione portati ai massimi livelli, il tutto a discapito del realismo e a completo sostegno del puro, esaltato divertimento. Con il quarto capitolo della saga l'approccio non è minimamente cambiato; piuttosto, Just Cause 4 si è rifatto il look e ha aumentato la dose di steroidi. O almeno, ci ha provato.



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Back in action



Just Cause 4 è un sequel diretto dell'ultimo capitolo della serie uscito tre anni fa. L'ambientazione, però, torna a ispirarsi a quel Sud America che faceva da sfondo alla prima avventura di Rico Rodriguez. In questo caso ci troviamo nella nazione fittizia di Solìs e non abbiamo neanche il tempo di uscire dal menù iniziale che già siamo catapultati nel pieno dell'azione: un edificio apparentemente irraggiungibile che si erge tra le montagne, il dittatore Oscar Espinosa che vi si rifugia e Gabriela, leader dell'esercito della Mano nera, che si illude di poterci fermare. Non serve altro per convincere Rico a proiettarsi in avanti con il suo rampino, gettarsi nel vuoto alternando paracadute e tuta alare e dispiegare il suo intero arsenale di armi distruttive.



Ma il nostro eroe non ha fatto i conti con il cielo: strani eventi meteorologici interessano Solìs, e proprio una tempesta (unita a torrette difensive poco amichevoli) costringe Rico a rimandare la resa dei conti con Espinosa. E' l'inizio di una guerra personale nella quale saremo affiancati dai ribelli dell'Armata del caos e che combatteremo tra la conquista e la liberazione di territori e l'eliminazione di edifici chiave. Di fronte a noi una Mano nera mai così aggressiva, ma soprattutto la minaccia di una vera e propria arma meteorologica sviluppata nell'ambito del progetto Illapa. In tutto ciò si inseriscono scoperte che hanno a che fare con il passato di Rico e con l'agenzia per la quale lavora sin dal primo Just Cause.



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Distruggo, ergo sum



Una delle meccaniche principali del gioco è il sistema di conquista delle diverse aree di Solìs. La vasta mappa è suddivisa in numerose regioni e ognuna presenta una sotto-missione di cui occuparsi per indebolire la Mano nera, rafforzare l'Armata del caos e far avanzare il fronte della guerra di liberazione del Paese. Per portare avanti la trama principale dovremo dedicarci a queste attività, che prevedono liberazione e scorta di prigionieri, attivazione o distruzione di elementi come centrali elettriche o turbine, hackeraggio di sistemi di sicurezza, disinnesco di bombe e poche altre varianti.



Non è però sufficiente portare a termine l'obiettivo. Per spostare la linea del fronte ci servono squadre di ribelli, in numero variabile in base ai requisiti di ogni regione, e l'unico modo per ottenerle è distruggere come se non ci fosse un domani. Con l'artificio della barra del caos, che si riempie ogni volta che facciamo esplodere cisterne, antenne, serbatoi, veicoli, tralicci e quant'altro, gli sviluppatori giustificano il tratto distintivo di Just Cause e lo legano direttamente alla trama. Più distruggiamo, più squadre possiamo “spendere” per conquistare una regione e sbloccare nuove missioni primarie; ma soprattutto, più distruggiamo, più ci divertiamo. Due piccioni con una fava; anzi, con una bomba.

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16 dicembre 2018 alle 20:40

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