Code Vein - recensione
Bisogna ammettere che Bandai Namco, al netto di una campagna marketing piuttosto sostenuta, non sembra aver destato nel pubblico l'interesse che Code Vein -lo diciamo già chiaramente- merita. Sarà che venne annunciato nel 2017 a sorpresa con un'uscita prevista per l'anno successivo, per poi essere rinviato di ben un anno con diversi sali e scendi di aspettative. Eppure, oggi siamo qui a parlarvi di un gioco che rischia di passare ingiustamente in sordina, quando invece varrebbe tutta la vostra attenzione.
Abbiamo quindi già spoilerato nel primo paragrafo che Code Vein è un buon gioco, ma cosa lo rende tale? Già alla fine del primissimo teaser trailer (che vi postiamo qui in basso) campeggiava la frase "Prepare to dine": un lapalissiano gioco di parole tra il famoso motto di Dark Souls e un non meglio specificato "pasteggio". Apriamo una piccola parentesi ricordando a tutti i lettori che il marchio di Dark Souls è di proprietà di Bandai Namco e, per questo motivo, non deve stupire né l'uso spudorato di riferimenti a fini di marketing né tantomeno l'incredibile somiglianza a livello di gameplay.
Da diversi punti di vista, in effetti, Code Vein è quel Dark Souls in salsa anime che molti (nel bene e nel male) attendevano. Eppure questo, dal nostro punto di vista, non rappresenta per nulla un punto a sfavore del titolo. Vogliamo dire: se si riesce a riprodurre fedelmente un Dark Souls aggiungendo alla ricetta una propria identità unica e un pizzico di novità a livello di gameplay ne può uscire solo qualcosa di buono, giusto?
