Yakuza: Like a Dragon - recensione
Non tutti gli eroi indossano un mantello, o una tutina attillata che lascia poco spazio all'immaginazione. Ichiban Kasuga non è mai stato un cittadino modello ma piuttosto una testa calda poco istruita, abbandonato dalla madre in un centro massaggi subito dopo il parto e allevato da prostitute, cresciuto per strada ed entrato a far parte del giro malavitoso della yakuza fin da giovanissimo.
Eppure, per qualche motivo Ichiban non ha mai perso la propria purezza, un'energia e un entusiasmo fanciulleschi, una visione del mondo in cui l'onore e la volontà possono davvero far la differenza, anche in situazioni apparentemente disperate.
Ed è proprio quel senso dell'onore ad averlo spinto a difendere il proprio clan, scontando per quasi vent'anni una condanna per la quale non aveva colpe; è quella ingenua bontà a non fargli odiare il proprio patriarca, dopo che questo lo ha tradito e tentato di uccidere a sangue freddo; saranno il suo coraggio e la suaintraprendenza a fargli conoscere i suoi compagni d'avventura e a spingerlo a risalire dal fondo della società, affrontare i misteri del passato, scoprire gli inganni del presente e prepararsi per le sfide future.
