Call of Duty Black Ops Cold War - recensione
Chiunque sia entrato a contatto con il mondo dei videogiochi, seppure in modo marginale, avrà sentito sicuramente parlare di Call of Duty. La popolare serie bellica di Activision, nata nel lontano 2003 come una sorta di risposta allo storico Medal of Honor di Electronic Arts, col passare degli anni è riuscita a imporsi come uno dei brand di maggior successo dell'industria costruendo attorno a sé una community molto nutrita di appassionati di tutte le età.
Dall'uscita dell'originale Modern Warfare in poi, questo celebre FPS militare non solo si è stabilito come vero e proprio golden standard nel campo degli sparatutto in prima persona per console ma è riuscito anche a trascendere i limiti del gaming, divenendo un autentico fenomeno di massa, un'espressione particolarmente diffusa della cultura pop. Basti pensare che Warzone, il recente Battle Royale basato sull'IP di Call of Duty conta oggi un bacino di utenza di oltre 50 milioni di fruitori attivi, un trionfo assimilabile a quello dell'altro fenomeno del genere: quel Fortnite di Epic Games che da anni catalizza prepotentemente l'attenzione di media e giocatori.
A cosa è dovuto questo successo planetario? Le risposte potrebbero essere molteplici ma, se dovessimo indicare quella più plausibile, sarebbe da ricercare nella sua formula di gameplay che riesce a coniugare sapientemente accessibilità e divertimento. Certo, la serie viene spesso additata come una riproposizione pedissequa degli stessi contenuti nel corso delle sue diverse iterazioni ma, a ben vedere, quest'affermazione non potrebbe essere più distante dalla realtà. I tre team che si occupano ciclicamente dello sviluppo del gioco portano nei propri titoli un'interpretazione molto personale dei campi di battaglia di Call of Duty e, partendo dalla solida base costituita da canoni classici e collaudatissimi, tentano di offrire esperienze sempre fresche e al passo coi tempi.
