NieR: Automata – Giocare con l'Anima
C'è un paradosso al cuore del successo di NieR: Automata. Uscito nel 2017, questo action RPG sviluppato da PlatinumGames era il sequel di un titolo di culto, NieR (2010), un'opera venerata da una nicchia di appassionati ma considerata un insuccesso commerciale. Le aspettative di Square Enix erano, di conseguenza, modeste, con proiezioni iniziali che si attestavano tra le 750.000 e il milione di copie. Eppure, contro ogni previsione, Automata è esploso, trasformandosi in un fenomeno globale che ha polverizzato le stime, superandole di oltre dieci volte, e ha conquistato milioni di giocatori in tutto il mondo. Il paradosso fondamentale sta qui: un'opera afflitta da evidenti e riconosciute carenze tecniche — da un mondo di gioco a tratti spoglio e un design dell'open world poco interessante a una grafica non all'avanguardia — è stata universalmente acclamata come un capolavoro assoluto per la sua straordinaria profondità narrativa, la sua risonanza tematica e la sua indimenticabile colonna sonora.
La chiave per risolvere questo apparente controsenso non risiede nel suo pur eccellente sistema di combattimento, ma nella visione di un uomo: Yoko Taro. Un auteur nel senso più puro del termine, la cui visione idiosincratica e non convenzionale è la chiave per decifrare l'opera. La sua filosofia e la sua caratteristica maschera sorridente di Emil sono diventate il simbolo di un modo di fare videogiochi che sfida le convenzioni. NieR: Automata non è semplicemente un gioco; è un trattato interattivo sull'esistenza, un'indagine straziante sulla coscienza e un'opera meta-narrativa che frantuma la quarta parete, costringendo il giocatore a interrogarsi sul proprio ruolo, sulle proprie azioni e, infine, sul significato del sacrificio.
La genialità di NieR: Automata risiede nella sua perfetta e indivisibile fusione di gameplay, struttura narrativa e filosofia autoriale. In quest'opera convergono tre elementi fondamentali: la filosofia di Yoko Taro, che esplora senza remore le sfaccettature più oscure e contraddittorie dell'umanità; una struttura narrativa meta-ludica che costringe il giocatore a riconsiderare il proprio ruolo e le proprie certezze; e una profonda, straziante indagine esistenzialista sui concetti di coscienza, identità e significato in un mondo irrevocabilmente post-umano. Ogni meccanica di gioco è uno strumento narrativo, i suoi 26 finali compongono un unico, coerente viaggio filosofico e la sua storia si inserisce nel complesso e tragico universo partorito dalla mente del suo creatore, un mondo che si estende ben oltre i confini del singolo videogioco.
L'Autore dietro la maschera: anatomia di un genio eccentrico
Per capire Automata, bisogna prima capire il suo creatore. Yoko Taro, nato a Nagoya il 6 giugno 1970, è una figura atipica e quasi anacronistica nell'industria videoludica. Formatosi presso la Kobe Design University e con una carriera iniziale come designer 3D CGI per colossi come Namco e Sony, il suo percorso non lasciava presagire la traiettoria radicale che avrebbe intrapreso. Lui stesso ha ammesso di non aver inizialmente pianificato una carriera nei videogiochi, un dettaglio che illumina la sua prospettiva da “outsider”, mantenuta anche dopo essere diventato una figura di spicco del settore. Il suo percorso professionale, prima all'interno dello studio Cavia dove ha diretto la serie Drakengard, e poi come freelancer, è stato un progressivo affinamento di questa visione unica, che si ritrova coerentemente in opere successive come il gioco mobile SINoALICE o la più intima serie Voice of Cards.
La sua intera poetica, quell'inconfondibile miscela di malinconia, violenza e umorismo nero, può essere fatta risalire a un evento formativo della sua gioventù: la morte accidentale di un conoscente, caduto dal tetto di un edificio. Yoko Taro ha descritto la scena come “terrificante”, ma contenente al contempo un “elemento di comicità”. Questa percezione dualistica della tragedia, dove l'orrore e l'assurdo non si escludono a vicenda ma convivono in una simbiosi grottesca, non è un semplice trauma, ma una vera e propria rivelazione filosofica che è diventata la chiave di volta del suo stile narrativo. È il motivo per cui le sue opere passano con disinvoltura da momenti di umorismo farsesco a scene di genocidio e disperazione esistenziale, mantenendo una coerenza tematica sconcertante.
Il suo metodo creativo è altrettanto peculiare. La sua tecnica principale, da lui definita “sceneggiatura al contrario” (backwards scriptwriting), consiste nel delineare prima i punti emotivi culminanti e il finale della storia, per poi costruire l'intera narrazione a ritroso. Non è un semplice trucco per architettare colpi di scena a effetto. È una scelta filosofica precisa che subordina la progressione della trama alla coerenza tematica e all'impatto emotivo finale, garantendo che ogni evento, per quanto bizzarro, converga inesorabilmente verso una conclusione concettuale predeterminata. A questo affianca una tecnica secondaria chiamata “photo thinking“, ispirata da opere come Il palazzo della memoria di Matteo Ricci di Jonathan Spence. Questo metodo gli permette di visualizzare e ordinare i “picchi emotivi” della narrazione come fossero immagini in una galleria mentale, pianificando con precisione quasi ingegneristica i momenti catartici per massimizzare il legame empatico del giocatore.
E poi, c'è la maschera. Quel volto sorridente e inquietante di Emil, che Yoko Taro indossa a ogni apparizione pubblica. Questa scelta va interpretata su tre livelli. Il primo è una semplice avversione personale all'essere fotografato e al culto della personalità. Il secondo è una dichiarazione artistica: l'attenzione deve essere rivolta all'opera, non all'autore. Ma è il terzo livello quello più profondo e meta-narrativo. La maschera non è un volto qualsiasi, ma quello “finale” di Emil, un personaggio la cui storia è una delle più tragiche del franchise, segnata dalla perdita della forma originale, da un immenso sacrificio e da una sofferenza perpetua nascosta dietro un sorriso forzato. Indossandola, Yoko Taro non sta semplicemente nascondendo il suo volto; sta simbolicamente “indossando” la sofferenza del suo universo narrativo, allineandosi con i suoi stessi personaggi. Questo trasforma le sue apparizioni pubbliche in performance artistiche che estendono i temi dei suoi giochi nel mondo reale.
Le radici dell'apocalisse: la genesi dello “Yokoverse”
La desolazione struggente di NieR: Automata non nasce dal nulla. Le sue fondamenta poggiano sulle macerie di un altro mondo, quello di Drakengard, e sulle conseguenze di un finale che ha cambiato tutto.
Il peccato originale: la caduta del drago su Tokyo
Per comprendere appieno la menzogna che anima il mondo di Automata, è indispensabile risalire al suo “peccato originale”: il Finale E del videogioco Drakengard (2003). Questo finale, originariamente concepito quasi come uno scherzo surreale, funge da inaspettato punto di divergenza per l'intero universo di NieR. La scena è tanto catastrofica quanto assurda: il protagonista Caim e il suo drago Angelus, nel mezzo di una battaglia contro un'entità mostruosa nota come la Regina-bestia, vengono risucchiati da un portale dimensionale e catapultati nel cielo della Tokyo moderna.
Lì, in un mondo del tutto impreparato a una minaccia mitologica, il duello si conclude. Ma la vittoria ha un prezzo apocalittico. Mentre Caim e il drago vengono immediatamente abbattuti dai missili dei caccia delle Forze di autodifesa aerea giapponesi, il corpo della Regina-bestia si disintegra, rilasciando nell'atmosfera terrestre delle particelle magiche extradimensionali note come “Maso”. Queste particelle sono il vettore di una piaga incurabile, la “Sindrome da Clorurazione Bianca” (WCS), che costringe gli esseri umani infetti a una scelta terribile: la morte o la trasformazione in creature mostruose al servizio di un'entità divina aliena. La scelta di Yoko Taro di elevare un finale “joke” a evento fondativo di un nuovo franchise è una dichiarazione programmatica: sovverte l'idea stessa di canonicità e introduce un tema ricorrente, ovvero come le conseguenze più catastrofiche possano nascere da eventi imprevisti e apparentemente insignificanti.
La lunga ombra del Progetto Gestalt
Gli eventi di NieR Replicant/Gestalt sono la diretta conseguenza di questa catastrofe. Di fronte all'estinzione, l'umanità concepisce un piano disperato: il Progetto Gestalt. L'idea è quella di separare le anime umane (i “Gestalt”) dai loro corpi fisici, che verrebbero sostituiti da cloni chiamati “Replicant”, immuni alla WCS. L'obiettivo era attendere per millenni che la minaccia del Maso si esaurisse, per poi riunire le anime ai loro corpi.

Ma il progetto è destinato a un fallimento totale e inevitabile. Con il passare dei secoli, i Gestalt (le anime) iniziano a degenerare, un fenomeno noto come “rigetto”, e la morte dello “Shadowlord” (il Gestalt del protagonista del primo NieR), che fungeva da ancora per stabilizzare tutte le altre anime, segna il punto di non ritorno. Senza la possibilità di ricongiungersi ai loro corpi, tutte le anime umane sono condannate a svanire. Questo porta all'inevitabile e totale estinzione della razza umana, migliaia di anni prima degli eventi di NieR: Automata.
Questa informazione non è un semplice colpo di scena, ma il pilastro su cui si regge l'intera, tragica menzogna del gioco. La guerra combattuta dagli androidi “per la gloria dell'umanità” è una farsa perpetrata in nome di un dio che è già morto. La domanda centrale del franchise si sposta così dalla sopravvivenza a un'indagine sulla persistenza filosofica e memetica dell'identità in un mondo orfano del suo creatore: cos'è l'umanità quando gli umani non esistono più?.
La forma è sostanza: quando il gameplay diventa narrazione
Il genio di NieR: Automata risiede nella sua capacità di raggiungere una profonda armonia ludonarrativa: una fusione in cui le meccaniche di gioco non sono semplici azioni, ma espressioni dirette dei temi della storia. La sua struttura ludica è volutamente instabile, un mosaico, un “pastiche” di generi che riflette la realtà frammentata e il caos esistenziale in cui sono immersi i suoi protagonisti. Il nucleo da action RPG firmato PlatinumGames, fluido e gratificante, viene costantemente interrotto da sezioni da sparatutto a scorrimento (i cosiddetti bullet hell o danmaku) e persino da incursioni nel formato dell'avventura testuale.
Questi cambi di prospettiva non sono mai casuali. Avvengono spesso in momenti di forte costrizione narrativa, dove la telecamera fissa o bidimensionale limita meccanicamente la libertà del giocatore per fargli provare la stessa impotenza e mancanza di agenzia dei personaggi, intrappolati in un destino che non possono controllare. Questa dissonanza ludonarrativa è, in gran parte, intenzionale. Man mano che la narrazione ci costringe a empatizzare con le macchine, il piacere derivato dal distruggerle diventa sempre più problematico, interrogando la complicità del giocatore nel ciclo di violenza. Attaccare le macchine pacifiche del Luna Park, ad esempio, è un atto meccanicamente possibile ma emotivamente ripugnante, che crea una frizione deliberata.
Persino l'interfaccia utente (HUD) diventa un elemento narrativo. Il sistema di Chip Plug-in permette al giocatore di assemblare letteralmente le abilità e la percezione del mondo del proprio androide, riflettendo il tema di un sé mutevole e non essenziale. È possibile, ad esempio, rimuovere dal menù il Chip OS. L'esito non è un bug, ma il Finale T, una morte istantanea. Con questa semplice azione, il gioco ci costringe a interagire con la natura stessa del “sé” artificiale del personaggio, un piccolo atto filosofico che pone una domanda fondamentale: se puoi disinstallare la tua stessa esistenza, cosa sei veramente?. La meccanica della morte stessa, che richiede di recuperare il proprio corpo precedente per ripristinare i chip, rafforza il concetto postumanista del sé come dato, separato dal suo involucro fisico.
La meccanica dell'hacking, esclusiva di 9S, non è solo un sistema di combattimento alternativo, ma uno strumento diegetico per la scoperta e l'empatia. Attraverso i suoi minigiochi, il giocatore penetra letteralmente nella coscienza delle macchine, accedendo ai loro pensieri, paure e tragiche storie, elementi invisibili durante la prima partita nei panni di 2B.
A legare l'intera esperienza è la colonna sonora di Keiichi Okabe e del suo studio Monaca, un elemento narrativo dinamico a tutti gli effetti. La musica si adatta in tempo reale, con strati sonori (versioni tranquille, medie, dinamiche e vocali) che si aggiungono o si sottraggono per rispecchiare l'intensità emotiva della scena. L'uso di una “Lingua del Caos” inventata, cantata da Emi Evans, è un geniale strumento per trasmettere emozione pura, bypassando la comprensione intellettuale per evocare un senso universale di malinconia, mistero e bellezza ultraterrena. Anche il sound design contribuisce in modo cruciale: tecniche come il riverbero in tempo reale “K-verb” creano un senso di vuoto e presenza, mentre il filtro audio che trasforma la partitura in una melodia chiptune a 8-bit durante le sequenze di hacking separa acusticamente il mondo fisico da quello digitale.
Un alfabeto di storie: decostruire i 26 finali di NieR: Automata
La struttura narrativa di NieR: Automata è il suo strumento più potente. Non si tratta di “finire il gioco più volte”, ma di progredire attraverso atti distinti di un'unica, complessa saga, dove ogni percorso successivo svela e ribalta la prospettiva precedente.
I pilastri della storia (finali A-E)
- Route A: flowers for mchines – La prima partita, vissuta attraverso gli occhi di 2B, presenta una visione del mondo volutamente limitata. Il conflitto appare lineare e privo di ambiguità: gli androidi YoRHa combattono per la gloria dell'umanità contro un'orda di macchine apparentemente prive di coscienza. Vengono introdotti i personaggi chiave: il partner 9S, la disertrice A2, le macchine umanoidi Adamo ed Eva e il pacifista Pascal. Tuttavia, fin da subito, la narrazione introduce elementi di dissonanza cognitiva, come le macchine che imitano la procreazione o mettono in scena un carnevale perpetuo. La fine del percorso offre una chiusura illusoria, una vittoria convenzionale che verrà smantellata pezzo per pezzo.
- Route B: or not toe – Il secondo percorso rinarra gli stessi eventi dalla prospettiva di 9S. Questa non è una semplice ripetizione, ma una ricontestualizzazione. L'hacking permette di accedere ai pensieri, alle paure e alle tragiche storie delle macchine distrutte senza esitazione nella Route A. È durante questo percorso che viene scoperta la verità fondamentale: l'umanità si è estinta da millenni e il Progetto YoRHa è una menzogna per dare agli androidi uno scopo per cui morire. La rivelazione più straziante, però, riguarda la stessa 2B: la sua designazione non è “Battle”, ma 2E (Executioner). La sua missione segreta, fonte della sua immensa sofferenza repressa, è sempre stata quella di giustiziare 9S ogni volta che la sua curiosità lo portava troppo vicino alla verità, intrappolandoli in una tragedia ciclica di affetto e tradimento forzato.
- Route C/D: meaningless ode & chilhood's end – Completata la Route B, il gioco si apre al suo vero, tragico secondo atto. Non più una ripetizione, ma una continuazione diretta. L'invasione su larga scala delle macchine e un attacco virus portano alla distruzione del Bunker e al collasso totale dell'ordine stabilito. In questa catastrofe, 2B, infettata, si sacrifica facendosi uccidere da A2 per preservare i propri ricordi e affidandole la promessa di proteggere il futuro. 9S, testimone di quella che percepisce come un'esecuzione, precipita in una spirale di follia nichilista, consumato dal dolore e dalla sete di vendetta. Il culmine è una scelta imposta al giocatore tra due filosofie della tragedia. Scegliere A2 porta al Finale C, dove il significato si trova nel sacrificio redentivo. Scegliere 9S conduce al Finale D, la catarsi violenta della disperazione che culmina con la sua morte e la possibilità che la sua coscienza si unisca all'Arca delle macchine.
- Finale E: the nd of YoRHa – Questa è la vera conclusione, un capolavoro di narrazione meta-ludica. Dopo la disperazione, i Pod 042 e 153, sviluppando una propria coscienza e libero arbitrio, si ribellano alla loro programmazione. Si rivolgono direttamente al giocatore, offrendogli la possibilità di lottare per un futuro diverso. Questa lotta assume la forma di un'impossibile sequenza bullet-hell contro i titoli di coda, una battaglia letterale e simbolica contro il sistema, gli sviluppatori, un destino predeterminato. Quando la sconfitta sembra certa, il gioco offre l'aiuto di altri giocatori reali, i cui dati si sacrificano per aprire la strada. Superata la prova, viene posta la scelta finale: sacrificare il proprio file di salvataggio — un atto di altruismo reale, non simulato — per diventare un aiuto per uno sconosciuto. Accettare sblocca la scena finale, in cui i Pod ricostruiscono 2B, 9S e A2, offrendo loro un nuovo futuro. Il messaggio, “Un futuro non ti viene dato. È qualcosa che devi conquistare da solo”, è la risposta definitiva del gioco al nichilismo.

La tassonomia del fallimento (finali F-Z)
Oltre ai cinque pilastri narrativi, Automata contiene altri 21 finali alternativi. Lungi dall'essere semplici “scherzi”, essi costituiscono un sofisticato sistema meta-narrativo che commenta l'agenzia del giocatore e le regole del mondo. Funzionano come un meccanismo di feedback sistemico che punisce l'esercizio del “libero arbitrio” contro la programmazione narrativa. Questi finali si attivano quando il giocatore viola il “contratto” implicito del protagonista. Possono essere classificati in base alla natura della trasgressione:
- Abbandono del dovere: Fuggire da una battaglia critica (es. Finale H: a mountain too igh) o ignorare un obiettivo (es. Finale M: break tie, ignorare la richiesta di aiuto di Pascal) porta a una conclusione brusca. Il gioco ci dice che la storia esiste solo finché il suo eroe adempie al suo ruolo.
- Errore di sistema o Curiosità fatale: Azioni che sfidano la logica interna del mondo hanno conseguenze definitive. Il già citato Finale T: faal error (rimozione del Chip OS) ne è un esempio lampante. Il più iconico è forse il Finale K: aji wo utta, in cui si muore mangiando uno sgombro ricevuto da un NPC, un pesce letale per la biologia androide.
- Violenza gratuita: Attaccare NPC pacifici (es. Finale N: o man's village, distruggere il villaggio di Pascal) non porta a una penalità, ma alla cessazione della narrazione. Un protagonista che commette atti di crudeltà insensata non ha più una storia degna di essere raccontata.
Ogni “fallimento” diventa così una piccola lezione sulla brutale coerenza del mondo di Yoko Taro, preparando il terreno per la decostruzione filosofica che avverrà nei finali principali.
Un universo spezzato: la narrazione transmediale dello “Yokoverse”
Per cogliere la reale portata dell'universo narrativo di Yoko Taro, è necessario abbandonare l'idea di un canone unico e autocontenuto. La storia dello “Yokoverse” è volutamente frammentata, un mosaico complesso la cui comprensione è affidata a un'esplorazione che va ben oltre i confini del singolo videogioco. L'uso di molteplici media per espandere, e talvolta modificare, la lore non è un'operazione commerciale accessoria, ma una scelta autoriale precisa, fondamentale per comprendere la profondità dell'opera. Questa frammentazione narrativa rispecchia perfettamente i temi centrali dei giochi: identità spezzate, memorie perdute e la faticosa ricostruzione di una verità dalle macerie.
Un esempio lampante di questa filosofia è l'anime NieR:Automata Ver1.1a. Con il coinvolgimento diretto di Yoko Taro come sceneggiatore, la serie animata non si configura come un semplice adattamento, ma come una vera e propria “riscrittura”. Pur seguendo la spina dorsale della trama, modifica eventi, esplora scenari “what if” e introduce deviazioni che mettono in discussione la memoria che il giocatore ha degli eventi originali. In questo senso, l'anime funziona quasi come un'ulteriore “route” del gioco, una nuova prospettiva che espande l'universo invece di limitarsi a riproporlo.
Ancora più significativo è il ruolo degli spettacoli teatrali. Molto prima che il mondo conoscesse Automata, Yoko Taro aveva già scritto e diretto opere teatrali che gettavano le fondamenta della sua mitologia. Lo spettacolo YoRHa è cruciale, poiché narra in dettaglio la “Discesa su Pearl Harbor“, la tragica e fallimentare missione suicida dell'unità di prototipi a cui apparteneva A2. Questo evento, solo brevemente accennato nel gioco, è l'origine del trauma e del cinismo del personaggio, e conoscerlo ne trasforma radicalmente la percezione. Non si tratta di “lore opzionale”, ma di un tassello fondamentale per la sua caratterizzazione, un pezzo di storia che arricchisce e dà un nuovo peso al suo arco narrativo.

A completare questo mosaico ci sono romanzi, racconti e persino i concerti orchestrali. Le novelizzazioni come Long Story Short e Short Story Long arricchiscono la trama con monologhi interiori e scene inedite, mentre durante i concerti vengono spesso letti nuovi racconti che fungono da ponte tra le varie opere. Tuttavia, per anni, gran parte di questo materiale narrativo essenziale è rimasto confinato in Giappone, senza mai ricevere una distribuzione ufficiale in Occidente. Questa inaccessibilità ha creato una dinamica unica all'interno della community globale, trasformando i fan più appassionati in veri e propri “archeologi narrativi”. Il compito di ricostruire la complessa timeline e di comprendere appieno le sfumature dei personaggi è stato affidato a traduzioni amatoriali, wiki collaborative e forum di discussione.
Questo processo di indagine collettiva ha dato vita a un meta-gioco di decifrazione della lore, portando alla formulazione di teorie affascinanti che tentano di collegare i punti oscuri del franchise. Tra le più popolari vi sono quella che ipotizza un legame tra il Virus Logico di Automata e la magica Malattia dell'Occhio Rosso di Drakengard, o quella che suggerisce che gli “alieni” non siano altro che una manifestazione dei “Watchers”, le entità divine antagoniste del primo Drakengard. In questo modo, la community non è solo una spettatrice passiva, ma un'agente attivo nella ricostruzione di un significato da un universo volutamente infranto.
L'eco di un'umanità scomparsa: Il motore filosofico di Automata
NieR: Automata è intriso di un profondo tessuto filosofico, attingendo esplicitamente a concetti dell'esistenzialismo, del nichilismo e dell'assurdismo per esplorare la sua premessa centrale. La rivelazione che l'umanità è estinta è un momento nietzschiano di “morte di Dio” che getta sia gli androidi che le macchine in una profonda crisi esistenziale, costringendoli a una disperata ricerca di un nuovo scopo. Il gioco intero non si limita a citare la filosofia, ma la mette in scena, trasformando idee astratte in meccaniche e conflitti che il giocatore sperimenta in prima persona.
Il gioco incarna il principio sartriano “l'esistenza precede l'essenza“. Gli androidi e le macchine sono creati senza un significato intrinseco e sono quindi “condannati a essere liberi” di definire la propria natura. I vari tentativi delle macchine di formare società — il villaggio di Pascal, il Regno della Foresta, il culto religioso, la ricerca della bellezza di Simone — sono interpretati come tentativi di costruire un'essenza imitando l'umanità. Il mantra di YoRHa “le emozioni sono proibite” viene analizzato come una forma di “malafede” istituzionalizzata, una rinuncia alla propria libertà che causa immensa sofferenza psicologica.
L'intera premessa di una guerra ciclica e senza scopo è una perfetta allegoria dello scenario assurdo di Albert Camus. I protagonisti sono intrappolati in una “spirale infinita di vita e morte”, un compito di
fo per eccellenza. In un universo così privo di significato, il senso si trova non nel raggiungimento dell'obiettivo (che è una menzogna), ma nella ribellione cosciente contro il proprio destino. Gli atti di sfida di 2B, A2 e 9S conferiscono significato alle loro vite, anche se si concludono con la morte.
Infine, il gioco esplora questioni postumaniste, sfumando i confini tra organico e inorganico, umano e macchina, in una messa in scena del “Manifesto Cyborg” di Donna Haraway. La meccanica del trasferimento dei dati dopo la morte solleva il paradosso della Nave di Teseo sulla continuità della coscienza. La rivelazione definitiva è la natura della “Black Box”, il nucleo degli androidi YoRHa: è costruita utilizzando nuclei di macchine, dimostrando che le due fazioni in guerra sono, nella loro essenza, la stessa cosa, una sintesi che sfida ogni dicotomia e critica radicalmente l'antropocentrismo.
Conclusione: un futuro da conquistare
NieR: Automata è un'opera che trascina il giocatore attraverso un abisso di nichilismo, violenza ciclica e disperazione esistenziale, solo per offrire, nel suo atto finale, non una risposta facile o un lieto fine convenzionale, ma qualcosa di molto più potente: una possibilità. La speranza, nel mondo di Yoko Taro, non è un dono divino, ma un valore forgiato attraverso la lotta, la connessione con gli altri e la scelta, ostinata e altruista, di credere in un futuro migliore. Il messaggio finale dei Pod, “Un futuro non ti viene dato. È qualcosa che devi conquistare da solo“, è il culmine di questo percorso e riassume l'intera filosofia dell'opera.L'eredità di NieR: Automata è quella di aver ampliato i confini di ciò che un videogioco può essere e comunicare. Ha dimostrato che un'opera interattiva può essere, contemporaneamente, un action RPG adrenalinico, un complesso trattato di filosofia esistenzialista e un'esperienza emotiva che lascia un segno profondo. Il suo inaspettato e travolgente successo ha provato che esiste un mercato di massa per storie complesse, autoriali, imperfette e profondamente umane, storie che non solo hanno un posto nell'industria, ma possono attivamente plasmarne il futuro. Ha stabilito un nuovo, audace standard per la narrazione interattiva, dimostrando che il medium può esplorare questioni filosofiche complesse con una profondità unica, e ricordandoci che la sua più grande forza risiede nella sua capacità di raccontare storie che non solo ascoltiamo, ma che diventano le nostre.
