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Quantum Break – Recensione

Il 5 aprile è il giorno. È l'atteso momento in cui Remedy porterà Quantum Break, la sua nuova IP, su XboxOne. Dopo rinvii, ri-schedule della release per poter avere più spazio all'interno del calendario Microsoft, ma soprattutto dopo tantissimo hype generato da un titolo che si sarebbe preparato a vestire i panni di killer app per la console di Redmond, finalmente restano poche ore a separarci dall'evento. L'attesa ha indubbiamente portato tantissime aspettative, perché Remedy è attualmente una fucina di esperimenti, di coraggiosi tentativi, capace di impreziosire un mercato sempre alla ricerca di novità e di grandi colpi di scena: un'azienda che ha saputo fornire all'industria una figura come quella di Max Payne, o anche una visione del tutto distorta della realtà, capace di sfociare nell'horror nel quale si ritrova Alan Wake. Allo stesso modo l'attesa è per quel titolo di Microsoft che in questo momento fatica a emergere, a farsi notare, e che quindi persegue un vanto di riscatto, un colpo di reni. Quantum Break, insomma, arriva tra le nostre mani pregno di responsabilità, di compiti ardui da portare a termine. Lo abbiamo provato su XboxOne per poter comprendere se realmente la missione è stata portata a termine.



FRACTURE
Jack Joyce ha una storia da raccontare. Nel nord est degli Stati Uniti, nella cittadina di Riverport, Paul Serene sta progettando un prototipo di macchina del tempo, uno strumento capace di fare da veicolo attraverso diversi anni, diverse epoche, ma anche diversi minuti della stessa giornata: una soluzione che rivoluzionerà tutto, che permetterà all'uomo di vincere l'indistruttibile giogo del tempo al quale sottosta perennemente. Jack Joyce, in quanto grande amico di Paul, viene invitato all'Università di Riverport, dove l'esperimento sta per essere completato, per assistere al funzionamento dello stesso. Qualcosa, però, non va per il verso giusto e l'intervento di William Joyce, il fratello di Jack, è vano, non riuscendo questi a impedire il disastro: il risultato è che sia Jack che Paul si ritrovano investiti da una forza temporale che non solo avvia una pericolosa frattura nel tempo, che avvia una lenta e cadenzata procedura di collasso, ma che fornisce ai presenti dei poteri e delle abilità diverse ma ugualmente capaci di manipolare quella forza che cercavano di debellare con la macchina del tempo. Starà a loro decidere come utilizzarli, ma le intenzioni sono ben delineate sin da subito: Serene, capace di vedere il futuro e decidere il presente in base a quelle che saranno le conseguenze, sotto il vessillo della Monarch Solutions perseguirà una strada votata al caotico male, mentre Joyce si ritroverà a vestire i panni di eroe, supportato da Beth Wilder e da chi deciderà, scoperte le reali intenzioni di Paul, di ribellarsi al giogo non solo del tempo, ma anche della Monarch. Perché una frattura temporale è decisamente più facile da temere che da anelare.





Basandosi su una sceneggiatura che si presenta per lo più in maniera lineare, capace di andare dal punto A al punto B senza eccessive deviazioni o senza ramificazioni di sorta, Quantum Break ci infila in un contesto complottistico, del quale non possiamo svelarvi ulteriori dettagli, ma che ci sentiamo di giudicare comunque in maniera positiva, nonostante qualche chiara vicenda secondaria lasciata andare per la sua strada senza eccessivo controllo. Lo stile utilizzato è quello del flashback, perché Jack Joyce si ritrova a confessare quanto accaduto, a raccontare gli avvenimenti, e avere la sua voce fuori campo durante la nostra avventura fa sia da linea guida a ciò che dovremo realmente fare, sia da accompagnatore alle vicende, che non si fermeranno mai per lunghi filmati di spiegazione. Tutto è fluido e dinamico, lasciando spazio soltanto per pochissime clip in momenti salienti, per lo più di combattimento. Il tema affrontato, però, è oramai un tema quasi del tutto saturo, soprattutto dopo esser stato utilizzato da numerose altre produzioni in lungo e in largo in qualsiasi campo dell'entertainment, pertanto a Remedy era richiesto un grande arduo compito: offrire una declinazione diversa, particolare, realmente rivoluzionaria, dello sfruttamento del tempo. Compito non del tutto riuscito, perché la linearità, in un argomento che è propriamente caotico, non supporta e non ci aiuta a esaltare le qualità narrative del prodotto, che pur mettendoci dinanzi a un contesto di manipolazione, non ci permette realmente di modificare i parametri della nostra esistenza dal punto di vista della storyline.




TIME TRAVELER
Partiamo col dire che non è nostra intenzione esordire specificando che Quantum Break è un titolo che pretende di essere tante cose, ma non riesce a essere nessuna di queste. Oltre a essere una affermazione scontata, non renderebbe nemmeno giustizia nei confronti di un prodotto che, al solo sbattere delle palpebre, ci si presenta in ottimo modo. Siamo dinanzi a un bel quadro, un prodotto che stilisticamente è decisamente ispirato, che ha saputo essere perfettamente figlio del suo tempo, rispondendo in maniera esatta a tutti i dettami necessari per poter essere un videogioco di questa era, di questi anni: raccontare una storia con questa qualità era un obiettivo palese di Remedy, che è riuscita nell'intento di intessere una vicenda su più piani mediatici, tutti qualitativamente altissimi. Riprendendo quindi il concetto poc'anzi espresso, la sceneggiatura, che è accompagnata da un ottimo cast attoriale, regge il peso della vicenda senza mai annoiare, pur perdendo, però, la sfida con altri titoli del genere che hanno trattato l'argomento in maniera più sentita, con più pathos e con più presa sull'utente finale: viene subito da pensare a Life is Strange, che qualitativamente, dal punto di vista tecnico e grafico, non può assolutamente competere con quanto fatto da Remedy, sia per la grande bontà di Quantum Break sia per lo stile poco incoraggiante utilizzato da Dontnod Entertainment. La storia di Max e Cloe, però, riusciva, anche grazie a un diverso sistema di gioco, a un gameplay decisamente agli antipodi, a creare un'empatia che non riusciamo a ritrovare in Jack e Beth, nella loro corsa contro la frattura del tempo. La stessa scelta di offrirci la possibilità di mutare l'esito della vicenda è rilegata a soltanto pochissimi punti di twist, e per di più solo quando siamo nei panni di Paul Serene, così da poter regolare soltanto le decisioni dell'antagonista e mai quelle del protagonista. Dovendosi intersecare, poi, con una serie tv, che chiaramente non poteva essere declinata e preparata in tutte le possibili sfaccettature che avrebbe dovuto prendere la storyline dinanzi a ulteriori scelte o decisioni prese nel corso di ogni atto, la scelta è anche giustificabile, ma vanifica l'intenzione di trattare un tema così vasto quale il tempo. Parliamo sempre della più grande fobia dell'essere umano, ci troviamo dinanzi a un'entità che tutt'oggi si rende disponibile e aperta a qualsiasi tipo di contrasto e di elaborazione artistica, da sempre forte elemento narrativo in ogni prodotto d'intrattenimento, che sia videogioco o meno: non averlo sfruttato a dovere è, indubbiamente, una pecca.



Così come è una pecca, anche se non totalmente, il gameplay di Quantum Break. Cercando di unire elementi da sparattutto in terza persona a un'esplorazione che a volte sembra voler strizzare l'occhio al platform, condita da una componente puzzle a dir poco ridotta all'osso, il prodotto di Remedy non riesce a convincere a pieno, dimostrandosi carente in moltissime delle scelte compiute dagli sviluppatori, pur giustificabili per quella vena artistica che dev'essere necessariamente sottolineata. Sin dai primi momenti, proprio dalle prime battute di gioco, ci si domanda per quale motivo, dopo i tanti passi in avanti compiuti dal genere sparatutto negli ultimi anni, Quantum Break debba ritrovarsi a compierne altrettanti all'indietro. Il sistema di copertura sembra aver completamente dimenticato quanto aveva insegnato Gears of War e non solo va a vanificare il movimento accovacciati, o anche la possibilità di sparare sporgendosi da una copertura, ma persino il passaggio da una copertura all'altra in maniera immediata, con la pressione di un singolo tasto: necessità che si fanno sentire, soprattutto quando vi ritroverete, nel caso in cui deciderete di compiere la nostra stessa scelta, al livello massimo di difficoltà, assediato da cecchini pronti a uccidervi con un sol colpo. Se, tra l'altro, sparare ai nemici è decisamente semplificato dalla mira automatica o anche dalla possibilità di mirare anche quando si è dietro una copertura, dall'altro lato non si capisce come sia stato possibile non inserire un colpo corpo a corpo, fisiologico e necessario nel momento in cui ci si ritrova a strettissimo contatto con l'avversario, ingaggiato magari con uno dei nostri poteri temporali. Una mancanza che stupisce, che trasforma l'avvicinamento in una pantomima che ci costringerà in ogni caso a imbracciare l'arma e cercare di colpire un punto a caso del corpo avversario, nella confusione del ritrovarsi praticamente attaccati al suo volto. Tale avvicinamento sarà possibile grazie ai poteri che abbiamo citato poc'anzi, che ci permetteranno di entrare in quello che è il vero gameplay di Quantum Break, che raccontando della frattura temporale deve necessariamente sposare la propria natura con quella della deformazione del tempo.





Andremo a sbloccarli nel corso dei vari atti, con gran parte di essi che saranno disponibili già entro il termine del primo atto, così da poter affrontare il resto dell'avventura già con poteri rodati sin dal primo momento. Per quanto tecnicamente e a livello grafico molti di essi si lascino apprezzare per la qualità grafica offerta, alcuni risulteranno quantomeno inutili e verranno usati pochissime volte, se non quando costretti da elementi ambientali che richiederanno l'intervento, per esempio, di uno scudo che bloccherà il movimento sconnesso di una porta automatica: vi ritroverete, quindi, a utilizzare per lo più la schivata temporale, seguita da una sorta di bullet time che vi concederà pochissimi secondi per colpire i vostri avversari a una velocità ridotta, o un'evoluzione naturale della stessa, che concederà, all'avvicinarsi a un avversario, l'unico reale colpo corpo a corpo che Quantum Break ha preparato per voi, con una spettacolare azione di prima intenzione che stenderà il malcapitato dopo un colpo molto cinematografico e, soprattutto, di grande sostanza. Chiaramente tale azione, che rappresenta a tutti gli effetti un'uccisione sicura, non può essere eseguita su quei nemici corazzati o che comunque si presentano in maniera diversa, strutturalmente parlando, dai canonici agenti della Monarch: la varietà offerta da questi ultimi, infatti, riesce a spingere anche il giocatore meno intenzionato alla novità e all'impegno sul campo di battaglia, a una strategia leggermente più elaborata, soprattutto per quei mastodontici agenti nemici che potranno essere colpiti esclusivamente da tergo, e che quindi dovranno essere aggirati sfruttando tutti i poteri temporali a vostra disposizione. È chiara l'intenzione, insomma, di non rendere Quantum Break è un titolo d'attesa, da sparatorie in trincea, pur capitando in diverse occasioni: Remedy vuole vedervi sfrecciare di avversario in avversario con i poteri di Jack, pur non essendo questi infiniti e dovendo sottostare, anch'essi, al giogo del tempo, in attesa della ricarica. Averli in maniera infinita avrebbe trasformato il gameplay in una sorta di God Mode, ma doverli dosare ed essere costretti a sparare ai nostri avversari, con un sistema di copertura poco dalla nostra, trasforma il tutto in un titolo di attesa dell'avversario: un cane che si morde la coda, in sostanza.



Con ogni atto diviso in segmenti, spesso capita di ritrovarsi con soltanto alcuni di questi votati interamente al combattimento e alle sparatorie, col resto completamente affidato alla soluzione di puzzle ambientali, quindi molto indirizzati verso il platform, o di veri e propri pulsanti da premere in sequenza in un ambiente ben preciso: se quest'ultimo aspetto vanifica e impoverisce il titolo intero, oltre a offendere quella che era la meccanica cinematografica del prodotto, la prima mette in mostra tutta la pesantezza del modello di Jack, realmente pachidermico nei suoi movimenti e nei suoi gesti, soprattutto nei momenti in cui dovrete saltare da una sporgenza all'altra o quando dovrete scavalcare una piccola recinzione. Una legnosità che si riscontra anche nelle sparatorie, che tra l'altro non possono giovare di schivate laterali o di altri espedienti per evitare di essere colpiti: mancanze che non fanno altro che rendere frustranti alcuni momenti, soprattutto se – ribadiamo – decidiate di giocare Quantum Break a difficoltà elevata, che di conseguenza richiederà anche una precisione capillare nell'affrontare determinate situazioni. Le fasi di esplorazione, in ogni caso, per quanto siano fisiologiche anche alla narrazione e che permetteranno anche il ritrovamento dei collezionabili, risultano un momento da aut aut: da un lato si avrà modo di apprezzare il dettaglio offerto dalla tecnica di Remedy nel realizzare tutti gli interni, o anche gli esterni, con paesaggi e ambientazioni veramente di altissimo livello, dall'altro però ci si ritroverà nell'affrontare corridoi molto lineari, che non lasciano spazio all'esplorazione totale e che non spingono il giocatore a scovare eventuali segreti o altro. Non che sia annidato, tale aspetto, nell'anima di uno sparatutto o di altro, ma offrirci così tanta fase esplorativa pretende quantomeno un palliativo che possa permetterci di sopportarla a dovere, senza limitarci esclusivamente al ritrovare elementi che impreziosiscono la narrazione, tra l'altro facilmente rintracciabili e che non aumentano per niente il livello della sfida complessiva. Pur impreziosendone la narrazione, a modo loro. Chiudiamo l'analisi del gameplay vero e proprio con un pollice in su per l'offerta delle armi da fuoco, che riescono a differenziarsi in maniera egregia per varie caratteristiche e per modalità di tiro. Menzione particolare, anche se non del tutto esaltante, per la possibilità di potenziare i propri poteri utilizzando le particelle di chronon rintracciate nel corso dell'avventura, modificando il raggio d'azione, la durata e tutti gli elementi che differenziano un potere temporale da un altro. Un aspetto che nel lungo periodo può indubbiamente tornare utile, ma che nelle prime battute di gioco non farà assolutamente sentire la propria eventuale mancanza.





BINGE WATCHER
Nell'analizzare il comparto tecnico, indubbiamente Quantum Break ci mette dinanzi a una grande rivoluzione, a quella che rappresenta la vera novità apportata nell'industria da Remedy: la presenza di una serie tv che va a intervallare la produzione videoludica. Pronta a fornirci la storia dagli occhi degli antagonisti, degli avversari, il nostro appuntamento in quattro episodi, alla fine di ogni atto escluso quello conclusivo, ci terrà impegnati per circa mezz'ora, minuto più minuto meno: nell'economia dell'intera esperienza chiaramente vedersi l'interattività videoludica e la frenesia della sparatoria interrotta da una visione di mezz'ora può disturbare, ma la qualità offerta dal prodotto mette tutti a tacere. La fotografia, la regia, la scelta del cast, sono soltanto tre degli elementi che confezionano un prodotto davvero piacevole da vedere e da apprezzare: passare in pochi secondi dalla grafica videoludica a quella cinematografica, con gli attori che sono, chiaramente, gli stessi da un lato e dall'altro, ma prima in versione digitale e poi in versione reale, colpisce, stupisce, fa in modo di inserire Quantum Break in una infrangibile pietra miliare dell'industria. L'idea è vincente, è funzionale, non può annoiare, perché la tematica affrontata è la medesima del gioco, pertanto il bersaglio è certo, anzi può solo permettere un momento di svago diverso, creando una connessione tra diversi media, che riescono a intrecciarsi dimostrando anche l'interattività che tanto si anela nell'intrattenimento televisivo. D'altronde, come già detto poc'anzi, la puntata sarà figlia della vostra scelta compiuta nella Junction nei panni di Paul Serene, che rappresenta la vera chiave di volta di ogni vicenda e di ogni finale di atto.





Per la tecnica del videogioco, poi, abbiamo già tessuto alcune lodi nelle righe precedenti, ma non manchiamo di rimarcare ancora una volta l'elevata quantità di poligoni che condizionano l'ambientazione, anche sugli oggetti che potremmo definire di scenario, di sfondo, secondari e non di primaria importanza. Nulla è lasciato al caso delle texture e tutto è ordinato e preciso, con un grande impatto visivo, che pur restituendoci soltanto alcuni degli elementi a schermo pronti per essere distrutti, e non tutti, riesce a stupirci senza problemi e senza difficoltà. L'avvicinarsi in maniera poderosa a una qualità cinematografica, assottigliando incredibilmente la differenza che intercorre tra i due diversi media, dimostra quanto Remedy abbia lavorato su questo aspetto, regalandoci un quadro perfetto, figlio del nostro tempo e delle nostre necessità di invasati del binge watching (gli episodi possono essere scaricati e visti in qualsiasi momento) e di timorati temporali. Sufficiente, invece, il doppiaggio, completamente in italiano, che soffre ancora di qualche problema di regolazione del volume, una croce che continua ad assillare anche produzioni di questo livello e che, si spera, possa trovare una soluzione al più presto nell'industria. Ispirata la colonna sonora, almeno nei punti salienti in cui è necessario far salire il pathos e la suspence.



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1 aprile 2016 alle 09:00