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The Witcher 3: Blood & Wine - recensione

Eh no, CD Projekt, non si fa così. Non mi puoi dare due settimane di tempo per scrivere l'anteprima di The Witcher 3: Blood & Wine a fronte di due orette di giocato, e poi lasciarmi cinque giorni di tempo per farne la recensione. E non mi puoi dire che questa durerà all'incirca 30 ore quando, al momento in cui scrivo, sono a 29 ore e ho ancora tante di quelle cose da fare che mi sa che arriverò almeno a 40. Perché ho anche un lavoro, una famiglia e un corpo con le sue esigenze fisiologiche.



Così invece mi costringi a farmi venire delle occhiaie peggio di un panda per cercare di vedere tutto il possibile, e per giunta mi maltratti costringendomi a tracannare la nuova espansione tutta d'un fiato, quando invece volevo gustarmela una goccia dopo l'altra.



Per cui, alla luce di tutto questo, non ci sto e mi ribello. E mi metto a scrivere il pezzo con un certo malcontento, avendo terminato la storia principale per questioni puramente deontologiche. Ma mi manca ancora da vincere il torneo di Gwent col mazzo delle Skellige, devo ancora potenziare la mia armatura dell'Orso a livello Gran Maestro e poi avrò tutti gli altri set da Witcher da portare al massimo per esporli sui manichini di Villa Corvo, e non ho sviluppato che una piccola parte di tutte le nuove mutazioni. E ho ancora taglie da portare a termine, quest secondarie da concludere e molte bacheche da scoprire. Perché Toussaint è davvero grande e ci sono ancora tanti, troppi punti interrogativi da esplorare sulla mia mappa.

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25 maggio 2016 alle 15:10