Inside - recensione
Si procede con il cuore colmo di speranza, fiduciosi nella clemenza degli sviluppatori, arroccati attorno alla cieca convinzione che qualcosa, prima o poi, verrà mostrata, esposta, chiarificata in ogni dettaglio. Ad un certo punto, più che dall'indiscutibile bontà del gameplay, ci si lascia rapire dal bisogno categorico di sbrogliare una matassa apparentemente priva di qualsiasi logica, dall'irrazionale e pur comprensibile necessità di dare forma e struttura a un'epopea evidentemente immotivata, largamente inspiegabile.
Al di là del limite destro dello schermo, oltre all'ennesimo enigma da superare, all'ennesimo essere ostile che ci sbarrerà la strada con tutta la sua ingiustificabile crudeltà (fisica e non solo), all'ennesimo burrone da sormontare in qualche modo, dovrà per forza palesarsi il senso, il significato, la causa ultima di tanta sofferenza attorno e dentro ("inside", appunto) allo stesso protagonista di questa inquietante e angosciante avventura.
La certezza di essere ormai prossimi ad un punto di svolta, al colpo di scena dopo il quale tutto diventerà comprensibile e condivisibile, sarà la droga, il mantra, la formula magica che alimenterà senza sosta la curiosità dell'utente che, suo malgrado, non tarderà a restare mortalmente avvinghiato nella trama di potenti suggestioni e sottili allusioni che forma l'ossatura portante di Inside, secondogenito di Playdead, piccola software house con base a Copenaghen.
