What Remains of Edith Finch - recensione
"Qual è la più grande sfida che bisogna affrontare quando si cerca di realizzare un gioco incentrato sulla narrazione? Nel nostro caso, non avendo alcuna idea al riguardo, è capire quale sia la storia del gioco poco prima di averlo completato. Non iniziamo lo sviluppo raccontando una storia. Stiamo cercando di evocare dei sentimenti che noi stessi non comprendiamo completamente, tipo 'cosa ricordo riguardo l'essere su un altalena quando ero un bambino'. La storia non arriva fino a quando il gioco stesso non si trova in una fase piuttosto avanzata. Quindi da quel sentimento abbiamo dovuto lavorare a ritroso, capire quale storia portasse a sentire quella particolare emozione".
Basta leggere brevemente le parole di Ian Dallas (da un AMA tenutosi recentemente su Reddit), creative director e figura chiave di Giant Sparrow, per arrivare a una conclusione molto semplice ma quanto mai rivelatrice: questo piccolo studio con base in quel di Santa Monica ha ben poco d'ordinario. E a conti fatto non era così complicato comprenderlo ancora prima di mettere le nostre mani su What Remains of Edith Finch.
Già perché questi ragazzi sono quelli che nel 2012 hanno confezionato The Unfinished Swan, una curiosa avventura in prima persona sicuramente imperfetta ma incredibilmente unica. Debuttare nel mondo dei videogiochi con un'opera tanto originale è complicato anche per il più talentuoso degli studi, mentre ripetersi arrivando anche a migliorarsi è qualcosa a dir poco raro e degno di nota. Per questo e per altri motivi (in primis uno sviluppo non proprio semplicissimo), un po' di sano scetticismo ci ha accompagnato mentre analizzavamo quello che rischiava di essere solamente l'ennesimo walking simulator degli ultimi anni. Col senno di poi siamo stati dei poveri stolti e Giant Sparrow ci ha fregati alla grande.
