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Kingdom Come: Deliverance - recensione

Quando si parla di open world la prima cosa che viene in mente è l'incredibile libertà offerta al giocatore in termini di spazi esplorabili. I grandi nomi associati a questa tipologia di videogiochi si sprecano: basti pensare ai sempreverdi Elder Scrolls, a The Witcher, Horizon o al recente Zelda Breath of the Wild. Questi titoli sono accomunati da ambientazioni fantastiche, dalla presenza di creature immaginarie, dalla magia e tanti altri elementi che li rendono prodotti di pura fantasia. Seppur ci siano esempi di giochi che hanno sfruttato ambientazioni storiche reali, come ad esempio gli Assassin's Creed, anche qui è immancabile una vena fantasy che impedisce al prodotto di presentarsi come una riproposizione accurata del periodo storico trattato.



Kingdom Come: Deliverance, dopo una campagna Kickstarter davvero fortunata, è pronto a dire la sua, proponendo un setting fedele alla Boemia del 1400. I ragazzi di Warhorse Studio mettono sul piatto un titolo crudo, per certi versi simulativo, capace d'immergere il giocatore in un medioevo concreto e plausibile. Gli sviluppatori stessi gli hanno affibbiato una definizione che vale più di mille parole, ovvero "Dungeons and no dragons". Dimenticatevi quindi orchi, goblin, demoni, draghi e state pronti ad affrontare le reali necessità a cui ogni uomo di umili origini doveva far fronte durante un'epoca così turbolenta.



Partiamo con un po' di storia: come detto ci troviamo in Boemia (corrispondente alla parte ovest dalla moderna Repubblica Ceca), e corre l'anno del Signore 1403. La situazione politica è molto tesa a causa delle vicissitudini che ruotano attorno alla famiglia dei regnanti. Carlo IV fu un re davvero ammirabile e il suo regno florido e duraturo, ma dopo la sua dipartita la corona venne posta sulla testa del figlio, Venceslao.

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13 febbraio 2018 alle 09:10

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