Last Day of June (Switch) - recensione
Un amore così intenso da sfondare persino le barriere del tempo e dello spazio. Abitanti che non parlano (o perlomeno lo fanno in una lingua incomprensibile) ma che dicono così tanto attraverso immagini, gesti, sguardi, ricordi. Relazioni che si compongono e si scompongono, pezzi di un mosaico che siamo chiamati costantemente a rompere nel tentativo di ricordare e dimenticare un nefasto avvenimento: la morte di June, che ci porta al titolo della produzione, Last Day of June.
L'esperienza partorita dagli italiani di Ovosonico guidati da Massimo Guarini tenta di spezzare le catene che bloccano il genere (principalmente la forte linearità dell'avventura, subordinata all'esigenza di voler emozionare con la storia più che con l'interazione) usufruendo, spesso sapientemente altre volte in modo più imbronciato, di un puzzle narrativo e ludico che funge molto bene da metafora dei sentimenti di Carl.
Non sappiamo la sua età e possiamo conoscere il suo passato (o perlomeno alcuni sprazzi della sua relazione con June) solamente dagli sporadici momenti in cui il gioco lascia passare la fioca luce dei ricordi felici del tempo che fu tra una fitta al cuore e l'altra. Nel mezzo affrontiamo l'odio che Carl prova per se stesso, per l'incapacità di non essere riuscito a salvare lei, l'amore della sua vita, e per l'apparente incapacità di salvarla ora ricostruendo, tramite i ritratti in casa sua, una storia alternativa, dove quei momenti infami (dalle 18 alle 19 di quell'ultimo giorno, come segna il campanile del piccolo villaggio) continuano a rimbombare nella sua mente, nella sua memoria.
