Far Cry 5 - recensione
Conoscete la definizione di follia? Se oggi avete aperto questa recensione è probabile che la sappiate perfettamente, anzi, che addirittura siate stanchi di averla letta e riletta in rete per mesi. Chi non avesse colto la citazione da Far Cry 3, sappia che la definizione che il villain Vaas forniva nelle soleggiate Rook Islands è "fare e rifare la stessa cosa, sperando che qualcosa cambi".
Ironicamente per molti questo è proprio il modus operandi di Ubisoft con la serie Far Cry, dal fortunato terzo episodio in poi, tramite una sequela di more of the same con poche differenze e novità tra un capitolo e l'altro, anche quando si è cercato di stravolgere tutto (leggasi Far Cry Primal). Oggi tuttavia qualcosa è cambiato, e questo nuovo capitolo della serie è pronto a dimostrare il suo valore e segnare una svolta tutta nuova per la serie.
Che Far Cry 5 sia diverso lo si intuisce sin dai menu iniziali, in cui si è chiamati a creare un personaggio da zero. Superato un editor piuttosto leggero, vestiremo i panni di un vice sceriffo alle prime armi, un novellino mandato a gestire una brutta gatta da pelare nella placida Hope County. In questo luogo apparentemente sperduto nel Montana si registra infatti l'attività illecita della setta Eden's Gate, comandata dall'autoproclamato profeta Joseph Seed.

Akar
Non mi spoilero nulla di più, però a mio avviso, sembra promettente