The Banner Saga 3 - recensione
The Banner Saga è una serie decisamente particolare. Il suo mix di narrativa, dinamiche RPG, dialoghi con scelte multiple a combattimenti tattici non trova eguali sul mercato (tranne che per il quasi-clone recente Ash of Gods). Non è solo una questione di gameplay, quanto di stile generale, atmosfera e soluzioni estetiche impiegate da Stoic. Per questa ragione The Banner Saga ha sempre faticato, nonostante i suoi ottimi numeri di vendite, a mettere d'accordo tutti, un problema che altre serie, anche solo vagamente simili, non hanno incontrato (X-Com ad esempio).
Lo stile artistico di Banner Saga si sposa perfettamente con il suo ritmo compassato e le sue battaglie tattiche raffinate in cui le scelte hanno un impatto solo apparentemente limitato. Insomma Banner Saga è una sorta di gusto acquisito, un RPG tattico da godere tra la sua narrativa epica e le difficili scelte che vengono offerte al giocatore. Il tutto immerso in un'atmosfera piuttosto pesante, ovvero caratterizzata da una sensazione costante di tragedia incombente e di mille problemi a cui è impossibile trovare una soluzione soddisfacente. A questo ci ha abituato la serie nelle sue prime due puntate.
Il gameplay è composto di diversi elementi. Il flusso del tempo, e quindi del gioco, è affidato a uno o più gruppi di umani (mescolati ad altre creature) in marcia verso una meta più o meno definita e in fuga da un pericolo più o meno incombente (rimaniamo vaghi per chi volesse godersi l'intera saga dall'inizio). Il giocatore è a capo di questo esodo e veste i panni di uno degli eroi disponibili; il viaggio presenta scelte strategiche relativamente al numero di persone accolte tra i ranghi, al cibo, all'umore dell'intera comitiva e alla valuta che caratterizza Banner Saga, il prestigio. Starà al giocatore decidere come spendere il prestigio (acquistando cibo o progressioni per i propri personaggi) e quando fermarsi per recuperare morale (ma spendere cibo).
