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Bloodstained: Ritual of the Night - recensione

Il genere Metroidvania è divenuto molto in voga nell'ultimo decennio. Se pensiamo a produzioni eccellenti quali Axiom Verge e Hollow Knight, ci rendiamo conto quanto un tipo di esperienza creata circa 30 anni fa si sia migliorata ed evoluta allargando il suo bacino d'utenza. Ma che significa il termine "Metroidvania"?



L'etimologia della parola viene da un crossover tra i giochi della serie Metroid e Castlevania, che avevano come comun denominatore un gameplay a scorrimento laterale, tante stanze di differente grandezza connesse tra loro ed il giocatore che deve andare girando alla ricerca di potenziamenti e upgrade per fronteggiare nemici sempre più potenti e accedere a sezioni della mappa inizialmente precluse.



E allora ci rendiamo conto che è davvero impossibile parlare di Bloodstained: Ritual of the Night senza parlare prima di Castlevania. Il gioco nasce infatti da una campagna Kickstarter lanciata da Koji Igarashi, programmatore, director e producer di numerosi episodi della serie dal '90 in poi, tra cui Castlevania: Symphony of the Night (probabilmente il Metroidvania migliore mai creato sin dalla notte dei tempi).



"Iga" si era appena distaccato da Konami, che aveva ormai altri interessi di business piuttosto che continuare a produrre la serie di ammazzavampiri. Le aspettative erano quindi alte: il producer di Castlevania, che finalmente era libero dai vincoli di Konami che tappavano le ali persino al genio Kojima, che gioco meraviglioso avrebbe potuto creare avendo piena libertà e fondi potenzialmente illimitati?



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27 giugno 2019 alle 17:10