Fallout 76: Wastelanders - recensione
Ah, l'Appalachia. L'aria salubre e impregnata di scorie radioattive, le foreste che si inerpicano sulle catene montuose della West Virginia, i torrenti che scrosciano nell'abbraccio delle vallate, il sole che tramonta attraverso i sottili aghi delle conifere. In lontananza si può udire il suggestivo ruggito di un Deathclaw, accompagnato dai timidi colpi di fucile sparati da nuovo gruppo di superstiti appena emersi dal Vault 76 e destinati a soccombere, giocatori che nei mesi a venire scopriranno una fra le regioni più affascinanti fra quelle apparse nell'universo di Fallout.
Ma Fallout 76 non è solo questo. È anche e soprattutto uno dei titoli targati Bethesda Game Studios più controversi degli ultimi trent'anni, un'opera che ha raggiunto il centro dell'attenzione mediatica solamente attraverso la fiumana di bug, le texture degne del Sottosopra di Stranger Things, la costante indignazione delle community. È vero: gran parte del backlash fiorito attorno a questo strambo esperimento multigiocatore era più che meritato, ma è ancor più vero che lo studio ha lavorato alacremente per trasformarlo in un'avventura memorabile.
E il contenuto gratuito di Fallout 76: Wastelanders rappresenta il culmine del procedimento di restauro inseguito da Bethesda, un percorso che punta a rendere 76 ciò che avrebbe dovuto essere fin dal primo giorno: una semplice avventura nella Zona Contaminata da affrontare interamente assieme a un gruppo di amici.
