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Lumo 2 – Recensione Speedrun

Se i videogiochi fossero mixtape, Lumo 2 sarebbe quel lato B dimenticato che, una volta riscoperto, vi fa rivalutare l'intero album. Non è nostalgia sterile, ma un remix intelligente dell'epoca 8-bit, orchestrato da Triple Eh? e pubblicato da Numskull Games per PlayStation 5. Questo sequel del titolo cult del 2016 non si limita a citare il passato: lo manipola, lo piega, lo ribalta.



Un viaggio senza parole, ma pieno di significato



Non aspettatevi cutscene epiche o dialoghi da Oscar. Lumo 2 continua la tradizione del suo predecessore: la narrazione è ambientale, implicita, quasi silenziosa. Il protagonista – un piccolo mago con cappello e bastone – si ritrova catapultato in un mondo isometrico fatto di stanze interconnesse, portali dimensionali e puzzle che sembrano usciti da un sogno lucido.



La storia si costruisce attraverso l'esplorazione. Ogni stanza è una micro-narrazione: una trappola da evitare, un enigma da risolvere, un collezionabile che racconta qualcosa dell'universo. Non ci sono parole, ma c'è un linguaggio visivo che parla chiaro. E quando il gioco cambia prospettiva – letteralmente – e ti ritrovi in un livello che omaggia gli shoot ‘em up o i dungeon crawler, capisci che Lumo 2 non è solo un platform: è una lettera d'amore ai videogiochi stessi.



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Stanze, portali e salti di fede



Per definire il gameplay di Lumo 2 serve una bussola, un po' di pazienza e una buona memoria muscolare. Il gioco si articola in oltre 100 stanze, ognuna progettata come una “scatola puzzle” con meccaniche che si evolvono costantemente. Non c'è una curva di difficoltà lineare: c'è una spirale, che vi avvolge e vi sfida a ogni passo.



La visuale isometrica è tanto affascinante quanto ingannevole. I salti richiedono precisione chirurgica, e la prospettiva può giocarvi brutti scherzi. Ma è proprio qui che Lumo 2 brilla: vi costringe a osservare, a sperimentare e a fallire con stile. Alcuni livelli si trasformano in omaggi a generi diversi – dal metroidvania al puzzle arcade – e il gioco non ha paura di ribaltare le regole, anche a metà partita.



I controlli sono reattivi, ma richiedono dedizione. Non è un platform per chi cerca gratificazione immediata: è per chi ama la scoperta, il ritmo lento e il senso di conquista. E quando finalmente risolvete un enigma che vi ha fatto impazzire per mezz'ora, il gioco non vi applaude. Vi lascia andare avanti, come se dicesse: “Bravo, ma non montarti la testa”.



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Pixel, prospettive e poesia visiva



Visivamente, Lumo 2 è un caleidoscopio retro-moderno, la grafica isometrica richiama i classici degli anni '80 e '90. Ogni stanza ha una palette cromatica distinta, e il design ambientale è tanto funzionale quanto evocativo.



Non c'è ridondanza: ogni elemento visivo ha uno scopo. Le trappole sono riconoscibili, i portali brillano di luce propria, e i collezionabili sono piccoli gioielli pixelati o paperelle di gomma. Il gioco riesce a essere minimalista e ricco allo stesso tempo, come un quadro astratto che si svela solo dopo il terzo sguardo.



Le animazioni sono fluide, il protagonista ha una silhouette iconica, e gli effetti visivi – dai bagliori magici ai cambi di prospettiva – sono gestiti con eleganza. Lumo 2 non cerca il foto realismo: cerca l'identità. E la trova, stanza dopo stanza.



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Un synth che racconta storie



La colonna sonora di Lumo 2 è un viaggio nel tempo. Synth atmosferici, arpeggi elettronici e loop minimalisti accompagnano ogni passo, ogni salto, ogni enigma. Non ci sono tracce epiche, ma ci sono melodie che si insinuano nella mente e ti restano addosso anche dopo aver spento la console.



Il sound design è altrettanto curato. Ogni interazione ha un feedback sonoro preciso: il rumore di un portale che si apre, il suono di un collezionabile raccolto, il tonfo di una caduta sbagliata. Tutto contribuisce a costruire un'atmosfera sospesa. Perché in un gioco che parla attraverso l'ambiente, anche il suono deve essere parte della narrazione.



La strada verso il Platino



Lumo 2 non fa sconti nemmeno ai cacciatori di trofei. La lista su PS5 conta ben 29 trofei totali, tra cui il Platino. I trofei spaziano da obiettivi narrativi a collezionabili nostalgici come il Tomytronic, la bacchetta magica e i Boom Boxes in omaggio al compositore Ben Daglish. Ci sono anche trofei sadici, come “Hello Antti!” e “Keep going, Antti!”, che vi premieranno per morire rispettivamente 10 e 20 volte nella stessa stanza. Un tributo ironico alla perseveranza — o alla frustrazione.



Il Platino non è pensato per chi cerca una corsa facile. È un percorso di esplorazione, memoria e precisione. Richiede di raccogliere tutti i collezionabili, superare sezioni senza morire e affrontare stanze che sembrano progettate da un architetto con il gusto per il caos. Ma per chi ama i puzzle platform con un'anima retrò e una sfida autentica, è un Platino che vale ogni singolo salto sbagliato.




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28 ottobre alle 16:10

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