L.A. Noire - recensione
Per molti Rockstar è praticamente un sinonimo di GTA o al massimo di Red Dead Redemption. Tra questi campioni di incassi, però, la stella del rock sono anche gli autori di altri giochi altrettanto acclamati, ma forse meno famosi come Manhunt, Max Payne e Midnight Club, ma anche di Bully (Canis Canem Edit in Italia) e del tie-in di The Warriors, i Guerrieri della Notte. Senza considerare la migliore simulazione di ping pong sul mercato, uno degli esperimenti più interessanti tentati dal marchio della stella è però L.A. Noire.
Sviluppato dal team Bondi, studio smembrato dopo il lancio del gioco a causa dei tanti rinvii e dello scandalo sulle pessime condizioni di lavoro imposte ai suoi dipendenti, L.A.Noire potrebbe essere visto come l'altro lato della medaglia di nome GTA V. Entrambi, infatti, sono ambientati a Los Angeles (o Los Santos), hanno una struttura a mondo aperto e raccontano del sottobosco criminale della città. Se Grand Theft Auto lo fa in maniera goliardica, spettacolare ed esagerata, mostrando il tutto attraverso gli occhi di criminali consumati, L.A.Noire preferisce un taglio più compassato ed elegante, raccontando la corruzione e i vizi della città degli angeli attraverso le vicende di un giovane detective nel pieno di una stupefacente carriera.
Il risultato è un gioco molto particolare, dal ritmo pacato e dall'originale gamplay basato su un sistema di indagini piuttosto standard, che però si incastra alla perfezione con un sistema di interrogatori piuttosto intrigante che unisce la nostra bravura durante le indagini alla capacità di leggere la situazione, osservando le reazioni degli indagati e seguendo il flusso della conversazione.
