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I Peccati Capitali di Heavy Rain – Plot Hole e Sospensione d'Incredulità

Otto anni fa, la Quantic Dream di David Cage prometteva una rivoluzione narrativa nel mercato videoludico, e Heavy Rain ne sarebbe stato il profeta. Oggi esploriamo cosa è andato storto, cosa sarebbe potuto andare meglio… E perché.



Nel Febbraio 2010, Quantic Dream rilasciava Heavy Rain, in esclusiva su PlayStation 3 per promuovere le potenzialità della nuova generazione. La storia dell'opera magna di David Cage è nota a chiunque abbia vissuto quella generazione sulla propria pelle: un misterioso teaser che annuncia un “casting” per un gioco di Quantic Dream, un teaser che funzionò più da tech demo che da vero e proprio trailer. Inizialmente proposto a Microsoft, Heavy Rain si è poi spostato su console Sony, dopo che l'azienda americana aveva richiesto dei cambiamenti alla storyline. E infine, dopo quattro anni di sviluppo, il titolo è finalmente giunto sul mercato, portando con sé un intreccio intrigante, personaggi interessanti e una buona dose di maturità narrativa.
recensioneHeavy Rain and Beyond: Two Souls Collection
Nonostante il numero sia notevolmente diminuito, ci troviamo ancora una volta a parlare di rimasterizzazioni di “vecchie” glorie. Come ben sappiamo, talvolta il risultato è qualcosa di davvero valido (come la Uncharted: The Nathan Drake Collection), ...



Le premesse, insomma, c'erano tutte – e lungi da noi pensare che Heavy Rain sia un brutto gioco. Ma è innegabile che qualcosa sia andato storto, nel corso dello sviluppo e della progettazione; tant'è che di Heavy Rain si continua a parlare ancora oggi, specie quando ci si riferisce a consistenti buchi nella trama e a incredibili occasioni mancate.



ATTENZIONE: Prima di proseguire, una rapida nota. Questo articolo contiente pesanti spoiler su Heavy Rain, arrivando anche a rivelare l'identità dell'Origami Killer. Se non avete ancora giocato il titolo di Quantic Dream e pensate di farlo presto, astenetevi dal continuare. Vi abbiamo avvertiti.



I peggiori Plot Hole di Heavy Rain
David Cage è un ottimo regista, ma ha qualche problema con lo storytelling



È bastato uno sguardo alla demo di Detroit, recentemente rilasciata sullo Store, perché la mascella di chi scrive cadesse al suolo con un tonfo, neanche troppo sordo. Per un appassionato di cinema, la regia videoludica di David Cage è incredibile, con un ottimo uso del montaggio, della scala dei piani, delle espressioni facciali e della recitazione attoriale. Si dice che un bravo regista sia in grado di trasmettere emozioni per immagini, e David Cage ci riesce; peccato che, quando decide di prendere in mano la penna, il buon francese sembra non amare la coerenza narrativa e l'organicità generale. Sperando che ciò non accada anche in Detroit (che Kojima ce la mandi buona), Heavy Rain è un ottimo esempio dei disastri che Cage è in grado di combinare, quando gli si dà carta bianca. Almeno, sul piano strettamente narrativo.




Per darvi una piccola idea di quello a cui ci riferiamo, ci piace lasciarvi qui un video della nota serie Game Sins. Vi basti sapere che, alla fine, il Sin Counter raggiunge un sorprendente “275” (anche se, come al solito, molti di essi sono da prendere con parecchia ironia).



Come il nostro webmaster ha sapientemente dichiarato fuori onda, “Heavy Rain funziona bene fino al finale – poi si sfascia tutto”. Non mancano dei buchi consistenti anche all'inizio dell'esperienza, o evidenti incongruenze che non sembrano essere spiegabili, ma vedrete come, effettivamente, buona parte dei plot hole sarà concentrata soprattutto nella parte finale del gioco. A cominciare dai personaggi.



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Trama e Personaggi: Legami Interrotti



Madison Paige è legata ad alcuni tra i peggiori plot hole del gioco



Uno dei buchi di trama che ha fatto più discutere è sicuramente quello legato a Madison Paige, la bella reporter che figura tra i protagonisti del gioco – e, come già preannunciato, ha a che fare con la parte finale dell'esperienza.



Tralasciando il problema del voler sfuggire a un'esplosione chiudendosi in un frigorifero (e ci asterremo dal nominare quell'altra opera di intrattenimento che ha fatto una roba simile – non ve la linkiamo neanche nel testo in grassetto, guarda), la cara “Maddy” si ritroverà di fronte a una scelta, una volta uscita dal palazzo in fiamme: chiamare Ethan, per avvisarlo del pericolo incombente, oppure chiamare Norman Jayden, un agente dell'FBI di cui lei dice di potersi fidare – ma che in realtà non ha mai visto in vita sua, o almeno non negli eventi narrati nel gioco.



In nessuna occasione, in nessun istante, Madison può aver recuperato il numero di Jayden, o aver parlato con lui, o aver indagato sulla sua figura, o persino aver udito il suo nome. Jayden è un perfetto sconosciuto agli occhi di Madison; eppure, la ragazza può chiamarlo per avvertirlo del pericolo, spingendolo ad andare al magazzino abbandonato per fermare il killer.
Madison non ha motivo per conoscere molti dei personaggi in gioco. Eppure, nel corso del finale, il gioco cerca di farci credere il contrario, senza mai aver posto le basi per una tale realtà.



Certo, si potrebbe argomentare che, essendo una reporter, Madison può aver conosciuto il suo nome in qualche modo, magari vedendolo tra le persone che si occupano del caso. Ma perché chiamare lui in quell'esatto momento, perché “fidarsi di lui”, piuttosto che di un comune poliziotto?
Tentativi di suspense mal riusciti



E non è neanche l'unico caso di “legame non specificato” tra i personaggi, né l'unico che coinvolge Madison. Quando la ragazza va all'ospedale per incontrare la madre del killer, quest'ultima le sussurra nell'orecchio il nome del fratello sopravvissuto, portando Madison a una reazione del tutto ingiustificata: la ragazza non ha mai avuto contatti con Scott Shelby, né ha mai avuto occasione di conoscerlo. Perché, dunque, sarebbe sotto shock alla rivelazione del suo nome? Appare chiaro, qui, il tentativo di Cage di prolungare la suspense, mantenendo nascosta l'identità del killer ancora per un po'. Un tentativo un po' “cheap“, a dirla tutta, indubbiamente mal congegnato e mal raccontato.



Ma il problema peggiore sta sicuramente nella figura di Scott Shelby.



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Cover a cura di Andrea Chiappino – in esclusiva per ilovevg



Un Killer che non ci crede



Spoiler: Scott Shelby è l'Origami Killer. Ora che il sassolino è andato, andiamo ad analizzare la figura di questo personaggio potenzialmente meraviglioso, che ha avuto giusto un paio di incidenti di percorso.
Il Red Herring di Scott Shelby



Partiamo da un presupposto: l'intenzione di David Cage era indubbiamente quella di costruire un “red herring“, che in narrativa è un termine tecnico per indicare uno “specchietto per le allodole”, una distrazione narrativa. Permettendo al giocatore di vestire i panni di Shelby e rappresentandolo come uno dei “buoni”, Cage voleva distogliere l'attenzione dal detective privato per spostarla su Ethan, il quale viene più volte spinto dalla storia come il “vero” Origami Killer. E il tutto avrebbe anche funzionato, se aiutato da una coerenza di fondo. Ma di Ethan parleremo tra poco.



Il problema è che Shelby non è un “villain” nascosto, è semplicemente un “villain” mal raccontato. In nessuna occasione fa qualcosa di sospetto, i suoi pensieri (che possono essere ascoltati dal giocatore) sembrano sempre genuini, e più volte si spinge più lontano del dovuto per indagare sui sospetti, pur sapendo benissimo di essere lui il killer dell'Origami. In generale, è evidente che a Scott Shelby manca una gigantesca dose di coerenza. Ed è un peccato, col suo background narrativo.
In breve: dopo aver perso il fratello in un incidente, Shelby cerca da anni il “padre perfetto”, quello che suo padre non è mai stato, quello disposto a rischiare la vita per salvare il proprio figlio. Per farlo, rapisce un bambino e sottopone il genitore a delle prove, distruggendo gli indizi di chiunque non riesca a superare i suoi test.
Shelby aveva potenziale; è solo raccontato male



Come ci viene spiegato sul finale, Shelby raccoglie le prove dai genitori delle sue vittime, fingendosi un investigatore privato, per non lasciare alcuna traccia alla polizia. Quel che non è chiaro è il perché tali genitori non abbiano portato il tutto alla polizia, anche dopo aver rifiutato di partecipare alle prove di Shelby, e perché lo stesso Shelby ci abbia messo due anni per tornare a recuperare tutto. Non solo: come già anticipato, pur sapendo di essere il killer, Shelby indagherà sul figlio di un magnate del business, spingendosi decisamente troppo in là nella sua ricerca senza un apparente motivo. È come se David Cage avesse deciso solo alla fine che Shelby doveva essere il killer, quando la storia era già scritta per intero.



Ma, legato a Shelby, c'è anche il plothole più grosso di tutti. Quando Scott e Lauren (un personaggio secondario) si recano dall'esperto in macchine da scrivere, l'uomo muore misteriosamente in uno strano fuori campo, e Shelby si ritrova sorpreso di fronte alla sua morte. Più in là, scopriremo che era stato proprio lui a ucciderlo, in una frazione di secondo troppo breve per essere realistica, durante un primo piano su Lauren. Un colpo di scena forzato, che sicuramente sarebbe potuto essere studiato in mille modi migliori.

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11 maggio 2018 alle 21:50