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Fallimento e trascendenza nel samsāra di Dark Souls - editoriale

"Colui che è privo di ragione, senza criterio, sempre impuro, costui non giunge alla sede , ma ricade nel ciclo delle esistenze". La dottrina dei testi Veda, risalente al 700 a.C., ha generato quella moltitudine di correnti spirituali legate al ciclo di vita, morte e rinascita, introducendo una ruota del fato che nel tempo è divenuta la base del brahmanesimo, del giainismo, dell'induismo e del buddismo.



Il samsāra è l'oceano dell'esistenza, un costrutto privo di sostanza e agitato da dolore e sofferenze, un'illusione sostenuta dall'ignoranza spirituale dell'essere umano, creatura incapace di distinguere il miraggio e condannata ad agire in eterno, andando alla costante ricerca della liberazione. Il ciclo di rimorte e rinascita è una costante nelle filosofie orientali, ed è il presupposto necessario per raggiungere o esperire fugaci istanti della trascendenza nel nirvana.



"Sei morto". È con queste parole che lo spietato universo di Dark Souls offre il suo benvenuto fra i fumosi confini di Lordran, un mondo paralizzato nell'immobile entropia del bivio cosmico. Non ci sono flussi, non c'è lo scorrere del tempo, c'è un piano fisico che resta immutabile fino alla fatidica scelta finale, mentre l'unica pedina in movimento è quella gestita dal giocatore. Un personaggio che resta saldamente incatenato al miraggio attraverso la maledizione del Segno Oscuro, sentenza che lo condanna a tornare dopo ciascuna scomparsa.



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13 ottobre 2019 alle 13:10

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